Asana: familiarizzarsi col corpo

Il nostro corpo è l’arpa della nostra anima. Sta a noi trarne musiche armoniose o suoni confusi.

Kahlil Gibran - Il Profeta

È interessante chiedersi: che cosa è per me il corpo? Come considero il corpo? È il luogo della sofferenza, della perdizione, l’origine di tutti i mali, o piuttosto è la fonte del piacere e del benessere? È una macchina molto sofisticata, ma sempre e solo una macchina, oppure è un qualcosa di vivo, vitale, non separato dalla mente e dal mondo circostante? In che relazione sono con il corpo? Lo uso senza dargli molta importanza, oppure sono come uno schiavo del corpo? Ho solo una vaga idea delle parti anatomiche del corpo e mi accorgo di lui solo quando c’è qualche malattia, oppure lo conosco, lo abito tranquillamente e con agio, e ne sono costantemente consapevole?

Ad un livello profondo, tu non sei il tuo corpo. Ma avere un corpo è come essere un ufficiale di cavalleria. Se vai in battaglia sul tuo cavallo, è molto meglio che il cavallo sia forte e in salute. Tu non sei il cavallo, ma il cavallo è veramente molto importante. La tua vita dipende da lui.

J. Krishnamurti

In generale, nel nostro contesto culturale, viviamo molto spesso separati dal nostro corpo, non lo conosciamo veramente e non lo abitiamo in modo salutare e appropriato. Siamo solo nella testa, presi dal vortice dei pensieri, delle fantasie, delle preoccupazioni, dei ricordi: è quindi molto importante imparare a ricollegarci col corpo. Tornare a prendere tranquillamente dimora nel corpo porta naturalmente un riequilibrio generale dell’intero organismo.

Anche quando utilizziamo il nostro corpo, come ad esempio nello sport, nella danza o nel fitness, lo facciamo in un modo che non ci permette di sviluppare una reale conoscenza empatica e unitiva, una reale armonia. Il nostro corpo è come se fosse una macchina, in qualche modo separata da noi stessi, che deve produrre certe prestazioni e/o avere una certa forma esteriore e siamo in costante competizione sia con noi stessi che con gli altri: tutto questo aumenta la scissione e la “frizione” tra mente e corpo, impedisce lo sviluppo delle percezioni sottili e di una reale consapevolezza e sensibilità corporea.

In una prospettiva contemplativa consideriamo il corpo come una base per la nostra consapevolezza, che sviluppiamo da due punti di vista: il primo è la posizione del corpo e il secondo è la percezione del corpo come campo di sensazioni tattili.

Sdraiati, seduti, in piedi, camminare, tradizionalmente queste sono le 4 posizioni fondamentali di cui occorre essere consapevoli: sostanzialmente ciò significa che ci alleniamo a essere consapevoli in/di tutte le possibili posizioni che il corpo assume, possiamo dire che ci focalizziamo sulla percezione della forma, della configurazione del corpo, sul suo aspetto più grossolano. Si può dire anche che ogni posizione del corpo ha un “sapore” che è possibile riconoscere e “gustare”: in questo modo prendiamo dimora nel corpo.

Una volta stabilitisi nel corpo attraverso la “porta” delle posizioni è naturale cominciare a percepire chiaramente il corpo attraverso la miriade di sensazioni che lo attraversano, cioè impariamo a percepire il corpo come uno spazio vivo, un campo di sensazioni tattili.

Via via che la pratica si approfondisce, avviene una naturale riconciliazione tra mente e corpo, svanisce la percezione del corpo come qualcosa di solido, freddo, meccanico, separato e si diventa coscienti della sua vitalità e continua mutevolezza.

Duro \ morbido, ruvido \ liscio, umido \ secco, caldo \ freddo, rilassamento \ tensione, pesantezza \ leggerezza, vibrare, pulsare, pizzicare, punture di spillo, indolenzimento, formicolio, ecc.: il “gioco” delle sensazioni corporee e il loro costante fluire si manifesta in modo sempre pù chiaro.

Nelle sensazioni corporee c’è tutta la ricchezza, tutta la vitalità del corpo che continuamente vibra.

Queste sensazioni sono sempre presenti solo che noi non siamo abituati a percepirle: con la pratica non le creiamo, ma semplicemente affiniamo la nostra capacità percettiva e riusciamo a cogliere questo aspetto del processo mente corpo di cui non siamo abitualmente consapevoli.

Nella tradizione dello Yoga la presa di coscienza di sè attraverso il corpo e la riscoperta della naturale sensibilità e saggezza corporea avviene attraverso la pratica delle posizioni chiamate in sanscrito asana.

Che cosa è un’asana? La parola asana significa “posizione” e deriva dalla radice sanscrita as “restare, essere, sedere, stare in una particolare posizione”.

T.K.V. Desikachar – Yoga e religiosità

Quindi la parola asana indica certamente una particolare posizione, si potrebbe dire anche una specifica configurazione del nostro corpo, ma non indica solo questo. Purtroppo qui in occidente, ma ormai non solo in occidente, si considera che la forma di un asana sia l’obiettivo, il fine ultimo della pratica; in qualche modo si crede che la forma possegga di per sè qualche potere occulto non ben definito; le posizioni vengono viste in modo separato, idealizzato, e si crede che automaticamente, meccanicamente abbiano un certo effetto.

Questa è una visione errata e molto limitata: l’esperienza che si vive nella posizione è più importante della forma stessa.

Gerard Blitz lo esprime nel modo seguente:

Non e’ la forma che conta, ma e’ il modo con cui si abita la forma.

Anche se la forma che assume il corpo ha una sua importanza, è altrettanto importante, se non più importante, come viviamo interiormente la posizione: siamo comodi, a nostro agio? Siamo attenti, svegli, presenti?

Lo yoga non è una danza, e la forma esteriore non conta. Ciò che conta nel praticare un’asana è l’esperienza che si vive in quel momento.

T.K.V. Desikachar – Yoga e religiosità

Il sistema mente corpo è una totalità organica, vitale, inseparabile e nella pratica dello yoga in generale, e delle posizioni in particolare, ricerchiamo e riscopriamo una esperienza che integra e riconcilia tutti i vari aspetti del nostro essere: quindi, sebbene il “punto di partenza”, il “contesto” della pratica delle posizioni sia il corpo, la forma che assume il corpo, l’esperienza è sempre globale, e comprende e integra, oltre al corpo, tutti i cinque sensi, e in particolare il corpo come campo di sensazioni tattili; comprende e integra il respiro insieme agli aspetti più sottili, mentali, come l’attenzione, l’intenzione e l’atteggiamento interiore.

Negli Yoga Sutra di Patanjali la pratica delle posizioni viene definita come segue:

Sthira sukham asanam [YS II.46]

Prayatna shaithilya ananta samapattibhyam [YS II.47]

Tato dvandva anabhighatah [YS II.48]

Dove sthira in generale viene tradotto con stabilità e significa, a livello mentale, una qualità di attenzione continua, l’essere presenti, consapevoli; a livello fisico fa riferimento ad una sensazione di stabilità, forza, solidità, immobilità.

Mentre sukha indica uno stato di benessere, di piacere, un sentirsi a proprio agio, comodi, rilassati.

Si può dire quindi che una posizione del corpo è sperimentata, vissuta come asana quando sono presenti simultaneamente stabilità-attenzione insieme a agio-rilassamento.

Per riscoprire questa modalità di vivere le posizioni, nel praticarle, di momento in momento, si ricerca lo sforzo appropriato (prayatna), si potrebbe dire anche lo sforzo minimo, e il rilassamento delle tensioni inutili (shaithilya), mantenendo simultaneamente la consapevolezza del respiro (ananta samapattibhyam).

Patanjali ci fornisce prima la descrizione di che cosa è un’asana [YS II.46] e poi ci dice quali sono i mezzi per entrare in questa esperienza [YS II.47]; nel terzo aforisma definisce il frutto di un tale modo di praticare, cioè che “le coppie di opposti non ci disturbano più” [YS II.48].

Essenzialmente un asana è una posizione del corpo eseguita e mantenuta in modo statico e/o dinamico, abbinata ad una respirazione appropriata e ad una attenzione continua, ed unita ad un atteggiamento interiore specifico: oltre a non essere né in competizione né in conflitto con ciò che siamo o ciò che percepiamo, deliberatamente ricerchiamo una qualità di amicizia, di apertura, di rilassamento, una condizione di “essere a casa”.

Nella pratica delle posizioni il respiro è il nostro migliore amico ed è il nostro migliore consigliere, infatti, una volta che abbiamo imparato ad ascoltare il respiro durante l’esecuzione delle asana, questo costantemente ci indica se stiamo forzando o se invece stiamo procedendo in modo appropriato.

Il respiro, quando non è più agevole, quando diventa corto, ristretto o addirittura bloccato, oppure quando è affannoso o agitato, indica che il modo in cui stiamo praticando è in qualche modo errato, non appropriato: conviene quindi fermarsi, anche solo per qualche attimo, ritornare ad una posizione di riposo, lasciare che il sistema mente corpo si tranquillizzi e si stabilizzi, e poi riprendere la nostra sequenza di asana.

Allenarsi a mantenere una respirazione lunga e profonda e nello stesso tempo agevole e sottile, in sincronia con i movimenti è di grande aiuto, anche se è possibile e appropriato praticare le posizioni senza sincronizzare i movimenti col respiro, ma ad esempio focalizzando l’attenzione sul movimento stesso e sulle sensazioni del corpo,

A livello fisico è un fatto del tutto naturale che i movimenti nei quali è presente una compressione dell’addome e del torace favoriscano l’espirazione, viceversa quando c’è un’apertura dell’addome e del torace viene facilitata l’inspirazione.

Se deliberatamente assecondiamo questo fatto naturale attraverso la consapevolezza e la sincronizzazione, non solo minimizziamo la possibilità di conflitto tra respiro e movimento, ma massimizziamo il supporo reciproco tra movimento e respiro: si crea cioè un aiuto sinergico tra respiro e movimento.

I maggiori benefici della sincronizzazione dei movimenti col respiro avvengono però a livello mentale, soprattutto se inseriamo nello schema respiratorio una breve pausa (uno o due secondi) sia a polmoni pieni che a polmoni vuoti, e rendiamo il respiro più ampio del movimento: cioè nell’entrare in una posizione, iniziamo prima a respirare e poi facciamo seguire il movimento, e quando il movimento cessa, continuiamo a respirare per un breve periodo.

Questo modo di praticare, dove il movimento è sincronizzato al respiro ed è “contenuto” all’interno del respiro, rende la mente raccolta e stabile e ci impedisce di eseguire le posizioni in modo meccanico, incrementando considerevolmente la consapevolezza.

Se praticate in modo opportuno, le posizioni dello yoga forniscono certamente degli effetti a livello fisico, ma di nuovo questi effetti non sono i soli e non sono i più importanti: forza, robustezza, flessibilità, scioltezza e una qualità di allineamento, simmetria e armonia della struttura fisica globale non sono gli unici frutti che può e deve offrire una pratica appropriata.

Attravero il “corpo grossolano” le asana hanno infatti un effetto sul “corpo sottile” stimolando l’armonizzazione e l’espansione dell’energia vitale. Ciò che percepiamo allora è come un risveglio delle sensazioni tattili e, in generale, una maggiore vitalità e un miglior funzionamento a livello fisiologico generale.

Il rilassamento delle tensioni a livello fisico e l’espansione della energia vitale promuovono naturalmente una maggiore tranquillità e attenzione: l’abituale dispersione mentale diminuisce e si può sperimentare calma, chiarezza, benessere.

Gli effetti a livello mentale e a livello di energia vitale, a loro volta influiscono sulla dimensione fisica creando quindi un circolo virtuoso.

Familiarizzandoci con il corpo e abitandolo in modo caldo, amichevole, empatico, senza competizione né conflitto, riscopriamo una condizione d’essere globale che si potrebbe definire di armonia o benessere dinamico.