Breve introduzione al Buddhismo

Sempre di più, in una società tecnologica, gli esseri umani sono condizionati a essere come parti intercambiabili di una gigantesca macchina chiamata “il sistema economico”. Per entrare nel mondo del Buddhismo Chan occorre ritrovare la nostra umanità che viene persa quando ci crediamo parti intercambiabili di una macchina. La questione essenziale non è il Buddhismo Chan in se stesso, ma la morte di tutto ciò che è umano quando gli individui diventano niente di più che un ingranaggio in una macchina. Noi abbiamo bisogno di qualche modello, di qualche ispirazione per ritrovare la nostra umanità.

Mu Soeng – Trust in the mind

Quando leggiamo o sentiamo parlare di Buddhismo e non ne abbiamo nessuna conoscenza, possiamo pensare che sia uno dei tanti “ismi” orientaleggianti, una moda a cui aderire, o magari da rifiutare perché noi abbiamo le nostre radici culturali.Che cos'è allora il Buddhismo? 

Per moltissime persone al mondo è una religione, intendendo con questo termine un insieme di credenze e rituali a cui, nella stragrande maggioranza dei casi, si aderisce per ragioni socio culturali; ad esempio in Thailandia, Birmania e Sri Lanka è la religione di Stato, con tutte le conseguenze positive e negative che ciò comporta.

Sicuramente il Buddhismo è una filosofia, o forse sarebbe meglio dire un insieme di approcci filosofici, in quanto all’interno di esso è presente una pluralità di modi di vedere, una pluralità di modelli della realtà, ognuno supportato da un'ampia letteratura e da una ricca tradizione.

Questi due aspetti, sebbene rilevanti e indubbiamente presenti, sono secondari e complementari: la caratteristica principale del Buddhismo è quella di essere una via di conoscenza, un cammino di ricerca interiore rimasto nei secoli vivo e vitale, con un patrimonio di metodi e di tecniche che, se comprese e applicate correttamente, possono condurci a una maniera di vivere più salutare, possono farci riscoprire la felicità e l’armonia nella nostra vita quotidiana.

È una via di conoscenza umana, nel senso che è dell’uomo e per l’uomo: cioè è l’essere umano che ha il compito e la responsabilità di percorrere questa via con fiducia e determinazione; è una via umana perché riguarda il modo che ha l’essere umano di vivere e fare esperienza.

L’idea che gli insegnamenti Buddhisti dovrebbero essere applicati proprio nella situazione di vita in cui siamo, per scoprire la loro efficacia e validità, è sempre stata una caratteristica essenziale del Buddhismo, fin dalla sua nascita: non si tratta di diventare Buddhisti, ma di “ritrovare la nostra umanità”, come dice Mu Soeng nella citazione a inizio capitolo; si tratta di riscoprire chi siamo veramente e di orientare la nostra vita verso un maggiore benessere.

Più che mai oggi, nella società contemporanea, abbiamo bisogno di una direzione salutare, di una prospettiva, di una mappa per orientarci. La nostra vita è caratterizzata da un consumismo sfrenato, dove “non è mai abbastanza”, dove il guadagno, l’accumulo sono fini a se stessi e tutto si vende e si compra. Viviamo in una dimensione dove la competizione, la lotta di tutti contro tutti sono diventati un valore, dove i ritmi di vita sono frenetici e innaturali, e l’ambiente è di giorno in giorno più artificiale: abbiamo quindi bisogno di una ispirazione, di modelli e di pratiche di vita che la tradizione buddhista, se correttamente compresa e applicata, ci può fornire.

Quando si introduce il cammino Buddhista solitamente si presentano le Quattro Nobili Verità e il Nobile Ottuplice Sentiero: sebbene questi insegnamenti siano accettati da tutte le tradizioni buddhiste, sono interpretati con sfumature e modalità diverse.

Nel contesto di questa breve introduzione al Buddhismo vorrei sottolineare soprattutto che le quattro nobili verità sono da intendersi come una pratica meditativa, come un metodo: esse non sono un insieme di quattro verità filosofiche che descrivono il mondo o la realtà, e non sono verità assolute, astratte, come purtroppo vengono tuttora spesso presentate.

Le quattro nobili verità sono un metodo per osservare direttamente il contenuto della propria esperienza, sia durante la pratica meditativa formale, sia durante la vita quotidiana; possono essere formulte nel modo seguente:

1. Questo è sofferenza (pali idam dukkham)

2. Questo è l’origine della sofferenza (pali ayam dukkha samudayo)

3. Questo è la cessazione della sofferenza (pali ayam dukkha nirodha)

4. Questo è il cammino che conduce alla cessazione della sofferenza (pali ayam dukkha nirodha gamini patipada).

Il termine pali Dukkha (sanscrito Duhkha) ha un'importanza centrale nell’insegnamento Buddhista, e, in generale, viene utilizzato un po’ in tutte le tradizioni spirituali indiane. Viene tradotto in vari modi, tra i quali sofferenza, dolore, insoddisfazione, stress: non tradurlo però sarebbe la cosa migliore, così da invitare a un'esplorazione personale e a una comprensione diretta, esperienziale. Il suo significato è molto ampio, indica qualsiasi stato psicofisico, dal più grossolano al più sottile, che abbia una connotazione dolorosa, non piacevole, a qualche livello non soddisfacente.

Anche il termine Nirodha è molto importante, sia nel Buddhismo che, ad esempio, nello Yoga, e si può rendere con cessazione, liberazione, ma anche limitare, racchiudere, moderare. Quindi dukkha nirodha si può tradurre con cessazione della sofferenza se adottiamo una pedagogia negativa, oppure, come fa intelligentemente Thich Nhath Hanh, con benessere se utilizziamo una pedagogia positiva.

Tradizionalmente, nell’applicazione formale, per ognuna delle quattro nobili verità ci sono tre fasi di pratica che sono chiamate rispettivamente riconoscimento, incoraggiamento alla pratica (a “fare” qualcosa), e realizzazione, che producono un totale di dodici aspetti, dodici comprensioni intuitive.

In relazione all’esperienza dolorosa, insoddisfacente, innanzitutto la riconosciamo, cioè identifichiamo con precisione l’esperienza in sé, per esempio, agitazione, paura, oppure una sensazione fisica non piacevole: riconosciamo che c’è sofferenza, che “questo è sofferenza”. Quindi siamo invitati a esplorare, a investigare l’esperienza, non per sbarazzarcene ma per vederla con maggiore chiarezza: non si tratta di alimentare né di respingere l’esperienza, ma di comprenderla con chiarezza, anche nel senso di fare spazio, accogliere, abbracciare. Infine ci accorgiamo che la comprensione è stata realizzata: per esempio ci rendiamo conto che c’è agitazione, ma non ci appropriamo dell’agitazione, non siamo l’agitazione.

In riferimento alla seconda nobile verità, riconosciamo l’origine della sofferenza, cioè le condizioni che alimentano e promuovono lo stato di sofferenza e le investighiamo cercando di comprendere in che modo supportano la sofferenza. Siamo poi invitati ad abbandonare, a lasciar andare ciò che alimenta la sofferenza: non si tratta però di instaurare una lotta, o di cercare di sbarazzarci prima possibile delle cause della sofferenza. Quando prendiamo in mano qualcosa di rovente, immediatamente lo posiamo; allo stesso modo, quando comprendiamo veramente che qualcosa genera sofferenza, allora naturalmente lo lasciamo andare. Infine ci accorgiamo che l’origine della sofferenza è stata abbandonata; ci rendiamo conto che una certa abitudine mentale, una certa reattività semplicemente non c’è più, e può accadere anche in modo sorprendente e inaspettato.

Ajahn Sumedho descrive questo schema, questo una mappa generale che supporta la pratica nel modo seguente:

Questo è lo schema dei tre aspetti di ogni Nobile Verità. Vi è l’asserzione, poi la prescrizione di ciò che si deve fare e quindi il risultato della pratica. Si può anche considerare la cosa nei termini delle parole pali pariyatti, patipatti, e pativedha. Pariyatti è la teoria espressa nell’asserzione “c’è la sofferenza”. Patipatti è la pratica, cioè mettere effettivamente in pratica quanto prescritto, e pativedha è il risultato della pratica. Questo è ciò che chiamiamo uno schema riflessivo; state sviluppando la mente in modo riflessivo. Una mente-Buddha è una mente che riflette e che conosce le cose così come sono. …

Le Quattro Nobili Verità sono una base di riflessione per tutta la vita. … Richiedono una forte e continua vigilanza e forniscono materiale di indagine per una vita intera.

Thich Nhat Hanh fornisce sostanzialmente lo stesso insegnamento utilizzando dei termini leggermente diversi: può essere utile “conbinare” i termini utilizzati da questi due maestri per avere una mappa più completa, in grado di descrivere organicamente le varie sfumature e significati.

Di seguito utilizzerò lo schema proposto da Thich Nhat Hanh chiamato “I dodici giri della ruota del Dharma”, con alcune modifiche e integrazioni personali:

Più sinteticamente, potremmo dire che il metodo prescrive quattro “cose da fare”:

1. La sofferenza va compresa

2. L’origine della sofferenza va abbandonata

3. Il benessere va realizzato-ottenuto

4. Il cammino verso il benessere va percorso-coltivato.

Quindi, le quattro nobili verità non sono un insieme di leggi filosofiche universali (la vita è sofferenza, la causa della sofferenza è la brama, ecc.), ma sono un invito alla pratica interiore nel qui e ora: ci dicono che non siamo schiavi del pensiero compulsivo e delle emozioni negative, ma che ogni stato psicofisico può essere riconosciuto, esplorato e “lavorato” in modo tale da ritrovare uno spazio di libertà e un maggiore benessere.