Un approccio esperienziale

Non basta aprire la finestra

per vedere la campagna e il fiume.

Non basta non essere ciechi

per vedere gli alberi e i fiori.

Bisogna anche non aver nessuna filosofia.

Con la filosofia non vi sono alberi: vi sono solo idee.

Vi è soltanto ognuno di noi, simile ad una spelonca.

C’è solo una finestra chiusa e tutto il mondo là fuori; 

e un sogno di ciò che potrebbe esser visto se la finestra si aprisse, 

che mai è quello che si vede quando la finestra si apre.

Fernando Pessoa

Pur essendo consapevole dell’importanza delle tradizioni, personalmente faccio riferimento a una spiritualità esperienziale, sperimentale, non settaria e non dogmatica, che si fonda sulla fiducia nell’esperienza diretta, unita al continuo raffinamento della comprensione e del modo di vedere.

Nello Dzogchen, una tradizione contemplativa del Buddhismo tibetano, c’è un detto molto importante:

«Abbi fiducia della tua esperienza, ma continua a raffinare il tuo modo di vedere».

In questa frase vengono uniti, in un apparente paradosso, due aspetti fondamentali di ogni cammino spirituale: da una parte c’è la fiducia in noi stessi, nelle nostre potenzialità, e soprattutto nella nostra capacità di percepire conoscere in modo diretto e immediato; dall’altra c’è la ricerca spirituale che si fonda su un atteggiamento di apertura mentale, di continua esplorazione, di incessante interrogarsi.

Nel salire una scala dobbiamo appoggiarci stabilmente e con fiducia sul gradino su cui siamo già, per poi passare al gradino successivo, allo stesso modo, possiamo rimanere in cammino, in evoluzione solo partendo e dando fiducia a ciò che ora siamo e a ciò che percepiamo.

Viceversa, la nostra sensibilità, e quindi ciò che percepiamo, si può affinare in continuazione se impariamo a guardare vedere noi stessi e il mondo da prospettive diverse, da nuove angolature: invece di essere bloccati nelle nostre vecchie idee, credenze, condizionamenti, osservando il mondo da visuali diverse diventiamo più liberi e più in grado di adattarci alla vita così come si manifesta.

L’importanza di non rimanere bloccati in un modo di vedere fisso, l’importanza che le nostre idee, concetti, credenze non offuschino la percezione diretta e immediata è espressa con forza e determinazione nella tradizione del Buddhismo Chan, per esempio in questa poesia di Huang Po:

«Lo stolto rifiuta ciò che vede,

non ciò che pensa;

Il saggio rifiuta ciò che pensa,

non ciò che vede».

Pessoa, nella poesia a inizio capitolo, usando un linguaggio poetico e iperbolico, dice che per “vedere” non basta “guardare” ma che 

«Bisogna anche non aver nessuna filosofia. Con la filosofia non vi sono alberi: vi sono solo idee».

Ammesso che sia possibile, è veramente molto difficile non avere nessuna filosofia: in quanto esseri umani abbiamo sempre qualche condizionamento culturale, cioè un modo di guardare vedere, credenze, idee che filtrano ciò che percepiamo.

Ciò che è certamente possibile è diventare consapevoli dei nostri condizionamenti, delle lenti concettuali che adottiamo, in generale, inconsciamente; e possiamo imparare, attraverso gli insegnamenti e le pratiche del Buddhismo e dello Yoga, a guardare il mondo, deliberatamente, da punti di vista diversi, da nuove prospettive: in questo modo possiamo diventare meno condizionati, più liberi e più in accordo con lo scorrere della vita, quindi fare esperienza di un maggiore benessere e armonia.

Invece di adottare un approccio concettuale e studiare gli insegnamenti, i testi, la “filosofia” del Buddhismo e dello Yoga, o forse sarebbe meglio dire le filosofie delle varie tradizioni del Buddhismo e dello Yoga, se adottiamo un approccio esperienziale, cioè se mettiamo al centro della nostra ricerca interiore il mondo delle nostre esperienze e le modalità che abbiamo nel metterci in relazione con esse, allora le differenze e i condizionamenti culturali o i diversi sistemi di credenze diventano assolutamente secondari. 

Possiamo quindi dire che ogni individuo, sia esso indiano o cinese, italiano o australiano, è un essere senziente, dove essere significa che siamo vivi, che esistiamo, che in noi scorre una energia vitale, mentre senziente significa che abbiamo una mente o coscienza, intesa non in modo moralistico, ma come la capacità basilare di percepire conoscere.

Tale facoltà è duplice: da una parte c’è la capacità di percepire conoscere attraverso i cinque sensi e la mente, cioè la facoltà di percepire forme e colori attraverso gli occhi, sensazioni tattili attraverso il corpo, suoni, odori e gusti attraverso i rispettivi organi di senso; e c’è il conoscere attraverso la mente, cioè l’esperienza di ciò che sinteticamente possiamo chiamare pensieri emozioni, che si riferisce a quella vasta gamma di fenomeni mentali che chiamiamo ricordi, fantasie, preoccupazioni, desideri, paure, sentimenti, emozioni, stati d’animo, e via dicendo.

Da una parte quindi c’è questo stupefacente mondo di esperienze che contemporaneamente fluisce su più dimensioni, comprende molteplici aspetti, e dall’altra c’è la capacità di ri-conoscere e accogliere tale mondo, c’è la capacità di sapere che stiamo percependo qualcosa nel momento stesso in cui lo percepiamo e di aprirci a tale esperienza.

Riscoprire, di momento in momento, un modo più salutare e autentico di metterci in relazione con ciò che viviamo, con la nostra esperienza immediata, è il punto centrale di ogni tradizione sapienziale.

Si potrebbe dire allora che lo scopo del Buddhismo e dello Yoga è quello di imparare a riconoscere e dimorare in una qualità naturale di semplicità appagamento interiore dove niente manca e niente è in eccesso, un atteggiamento interiore, un modo di essere che ci permette di familiarizzarci e di riconciliarci con la totalità della nostra esperienza e quindi con noi stessi.