Pranayama: familiarizari col respiro
Mi stai cercando? Sono nel sedile accanto. La mia spalla contro la tua.
Non mi troverai negli stupa, né nei templi Indiani, non nelle sinagoghe e nemmeno nelle cattedrali; non mi troverai nelle masse, né nei kirtans, non attorcigliandoti le gambe intorno al collo e nemmeno mangiando solo vegetali.
Quando mi cercherai veramente, mi vedrai all'istante: mi troverai nel più piccolo spazio di tempo.
Kabir chiede: Discepolo, dimmi cos’è Dio?
Egli è il respiro dentro il respiro.
Kabir
È interessante notare quanto poco abbiamo dimestichezza con il nostro respiro: anche nel caso in cui conosciamo perfettamente gli aspetti meccanici e fisiologici della respirazione, in generale ci accorgiamo del respiro solo dopo uno sforzo fisico o magari perché siamo molto raffreddati e non riusciamo a respirare bene.
Nella nostra cultura nessuno ci insegna che si può essere consapevoli del respiro, che il respiro può essere una base per la nostra attenzione, e che attraverso il respiro si può migliorare la nostra vitalità e quindi la nostra salute e parallelamente favorire calma e chiarezza mentale.
Per contro in tutte le tradizioni sapienziali orientali (Yoga, Buddhismo, Taoismo) il respiro è conosciuto e utilizzato ampiamente, sia nelle tecniche psicofisiche più di carattere energetico, e sia nelle tecniche più meditative.
Per comprendere l’importanza del respiro occorre introdurre la nozione di forza o energia vitale che in sanscrito è detta prana: il termine significa ciò che è presente e circola costantemente, ciò che fluisce in tutto il nostro corpo, come anche nell’universo intero.
Per ciò che concerne l’essere umano il prana è ciò che sostiene ed è in qualche modo responsabile di tutte le funzioni vitali: dal respiro al battito cardiaco, dall’apparato digestivo a quello endocrino, tutti i vari sistemi dipendono dalla forza vitale; inoltre anche il funzionamento della mente e dei cinque sensi è legato al prana.
Nella nostra società l’aspetto dell’energia vitale è come negato, un po’ misconosciuto: è però presente nel linguaggio comune, infatti quando stiamo bene diciamo “mi sento pieno di energia”, oppure “mi sento senza energia” per indicare appunto quando si hanno le pile scariche; si dice anche “tizio ha un sacco di energia mentale” per indicare una persona che riesce ad eseguire molta attività mentale. Quindi il linguaggio comune mostra che anche nella nostra cultura è presente una conoscenza intuitiva della dimensione dell’energia vitale.
D’altra parte le medicine tradizionali come l’Ayuveda e la Medicina Tradizionale Cinese basano da millenni le loro terapie sul riequilibrio dell’energia vitale, e vengono sempre di più valorizzate e utilizzate.
Poiché il prana non è un qualcosa di grossolano ma appartiene ad una dimensione sottile, per comprenderne il funzionamento vengono tradizionalmente usate alcune metafore.
Ad esempio il suo comportamento è considerato simile a quello dell’acqua che fluisce, che è in continuo movimento, e quando c’è stagnazione tende a deteriorarsi, a guastarsi; inoltre l’acqua prende la forma del contenitore e ha la possibilità di cambiare di stato (ghiaccio, acqua, vapore), dove lo stato più rarefatto corrisponde alla possibilità di espandersi e muoversi più liberamente.
Allo stesso modo si ritiene che l’energia vitale fluisca in continuazione e la sua stagnazione sia causa di problemi, di malattie sia a livello fisico che mentale. Come un sistema idraulico che è formato da canali e da laghi che accumulano e regolano il flusso, allo stesso modo il sistema dell’energia vitale è formato da canali chiamati nadi (letteralmente flussi) e da laghi chiamati chakra, che fungono appunto da zone di accumulo e di regolazione. Inoltre si può considerare che come l’acqua, il prana ha la possibilità di cambiare di stato diventando più sottile e quindi aumentando la sua capacità di espandersi e di muoversi.
Oppure possiamo paragonare il prana all’energia elettrica: noi non la vediamo direttamente ma accettiamo la sua esistenza perché ne vediamo gli effetti, cioè la lampadina si accende, la stufa si scalda, il motore della lavatrice entra in funzione.
In modo analogo noi non vediamo né tocchiamo l’energia vitale, ma il nostro corpo con i vari sottosistemi funziona, e la mente e gli organi di senso, grazie al prana, possono svolgere la loro funzione di percepire conoscere.
Nello Yoga, il ramo che tratta dell’energia vitale è chiamato pranayama: il termine è composto di due parole, “prana” e “ayama”. Abbiamo visto che prana è l’energia vitale che sostiene tutti i processi psico fisici, mentre ayama significa espandere, allungare, estendere, da cui deriva il significato di pranayama che è “espansione e armonizzazione della dimensione dell’energia vitale”.
In alcuni testi il termine viene scomposto in tre parti, “prana”, “a” e “yama”, dove “a” significa “verso l’interno” e “yama” “controllo, limitazione, restrizione”. Di conseguenza viene tradotto come “controllo del respiro”: una interpretazione non completamente scorretta, diciamo elementare, insufficiente, ma forse per certi versi utile, nel senso che mette in evidenza più lo strumento usato, cioè il respiro, e non lo scopo della pratica. Oppure può essere interpretato come “non dispersione della forza vitale”, cioè mantenere l’energia vitale all’interno del corpo.
Sinteticamente possiamo dire che il pranayama consiste nel divenire consapevoli del respiro e nel regolarlo al fine di espandere e armonizzare la dimensione dell’energia vitale.
Occorre a questo punto precisare correttamente la relazione che intercorre tra respiro e forza vitale:
Il respiro non è il prana, benché comunemente si pensi che coincidano. Neppure l’aria è prana. Se lo fosse, basterebbe pompare aria in un corpo morto per farlo rivivere. Il respiro è invece l’espressione del prana, l’espressione della vita e della forza che a esso presiede. Benché sia impossibile vedere, toccare o manipolare direttamente il prana, il respiro è una sorta di leva, di mezzo, per agire indirettamente su di esso. Perciò ogni cosa che agisce sul respiro, agisce anche sul prana, perché tra i due c’è un collegamento diretto.
A. G. Mohan – Lo Yoga per il corpo il respiro e la mente
La qualità, le caratteristiche del respiro sono degli indicatori del nostro stato psico fisico, cioè riflettono lo stato della mente, dell’energia vitale e del corpo. Contemporaneamente se andiamo a modificare consapevolmente queste caratteristiche possiamo influire indirettamente ma concretamente sulla condizione di mente e corpo. C’è quindi una relazione reciproca, bidirezionale molto importante che viene sfruttata nella pratica del pranayama.
Negli aforismi degli Yoga Sutra di Patanjali, seconda sezione, dal 49 al 53, viene definito cosa è il pranayama, come va praticato e i risultati che si possono ottenere.
Innanzitutto viene detto che occorre avere una posizione corretta: cioè la posizione del corpo deve avere le qualità di un asana, brevemente stabilità e agio.
Nel capitolo precedente abbiamo visto come il respiro sia una componente essenziale nella pratica delle posizioni, come il repiro influenzi la posizione: qui vediamo l’aspetto reciproco della relazione, cioè come la posizione del corpo influenza la respirazione.
L’aforisma 49 (YS II.49) afferma che una volta stabilitisi nella posizione corretta, il pranayama consiste nella cessazione della respirazione shvasa prashvasa, dove questo temine indica, prima di tutto, una respirazione inconsapevole, riflesso automatico di uno stato mentale ed emotivo disarmonico: per cui, in generale, una respirazione irregolare, agitata, difficile, ristretta, superficiale, grossolana.
Nell’aforisma seguente (YS II.50) viene detto che nella pratica del pranayama cercheremo di influire sulla qualità del respiro in modo tale da renderlo dirgha sukshma, cioè lungo e costante e al tempo stesso sottile e armonioso. Nel fare questo teniamo in considerazione le quattro fasi del processo respiratorio, cioè l’espirazione (rechaka), la pausa a polmoni vuoti (bahir kumbhaka), l’inspirazione (pooraka) e la pausa a polmoni pieni (antar kumbhaka), insieme ad altri tre parametri che sono definiti luogo, tempo e numero.
Di seguito non entreremo nel merito delle molteplici sfaccettature della pratica del pranayama e delle sue molte tecniche, vorrei semplicemente attrarre l’attenzione su alcuni punti fondamentali.
Innanzitutto le quattro fasi del processo respiratorio sono un fatto naturale sempre presente, sia che ne siamo consci o meno, anche se le fasi di pausa, di ritenzione del respiro sono in generale molto brevi.
Con tempo si intende, oltre che la durata generale della sessione di pratica, soprattutto la consapevolezza delle quattro fasi, della loro durata e del loro rapporto reciproco: questo è un aspetto fondamentale che ci permette di modulare gli effetti di ogni esercizio respiratorio. In generale viene detto che mantenendo un ritmo respiratorio dove la fase di espirazione e quella di inspirazione sono uguali si favorisce equilibrio, armonia, mentre se si privilegia la fase di espirazione si facilita il rilassamento, la calma; al contrario enfatizzando l’inspirazione si ha un effetto stimolante, tonificante, rivitalizzante.
Con numero ci si riferisce al conto mentale della durata delle fasi del respiro, oltre che al conto dei respiri e/o dei cicli della pratica: in questo modo possiamo modulare il ritmo e la durata di ogni fase della pratica.
È altresì importante il luogo, inteso sia come localizzazione fisica del respiro, e sia come posto dove focalizziamo l’attenzione.
Rispetto alla localizzazione fisica, cioè alle aree del corpo interessate dal respiro, possiamo distinguere principalmente tre tipi di respirazione: la respirazione bassa, percepita nell’area addominale, quella mediana, relativa all’area toracica inferiore, delle costole fluttuanti, e infine la respirazione alta, clavicolare; esse corrispondono grossolanamente anche ai lobi (cavità) polmonari, infatti ci sono tre cavità nel polmone di destra e due in quello di sinistra. Più in generale si considerano tutte le aree del corpo dove si percepisce il respiro, quindi oltre che il petto e l’addome, anche il dorso, i fianchi, il pavimento pelvico, ecc..
L’attenzione può essere rivolta sia alle fasi della respirazione, sia alle aree del corpo dove si percepisce il respiro, e sia ad altre componenti della pratica come la recitazione o la visualizzazione. Ovviamente il luogo e la qualità dell’attenzione sono uno degli aspetti principali se non il più importante.
Negli aforismi successivi (YS II.51-53) viene sostanzialmente affermato che attraverso la pratica del pranayama la nostra mente si purifica e diventa chiara e concentrata.
Riassumendo possiamo dire che la pratica del pranayama utilizza come veicolo, come mezzo principale il respiro, ma ancora una volta l’esperienza è globale, cioè investe tutte le dimensioni del nostro essere; gli ingredienti comprendono oltre al respiro e alle sue svariate caratteristiche, sia il corpo che deve poter assumere e mantenere una posizione appropriata, e sia la mente intesa come qualità dell’attenzione e come atteggiamento interiore. La pratica consiste innanzitutto nel portare l’attenzione al respiro e, in questo modo, renderlo consapevole: una volta che abbiamo stabilito un buon contatto con il respiro allora possiamo agire sulle sue qualità e sulle sue caratteristiche. Rendendolo regolare, fluido, calmo, agevole, profondo e fine favoriamo uno stato mentale di raccoglimento, calma e chiarezza: in definitiva riscopriamo il piacere del respirare.
Il pranayama è la regolazione cosciente del respiro. Praticandolo si modifica deliberatamente lo schema abituale della respirazione che, a sua volta, modifica lo stato mentale. In questo modo si riducono l’agitazione mentale e le impurità presenti nel sistema. Si diventa perciò più lucidi e le capacità intellettive aumentano. Lo scopo ultimo del pranayama è perciò la concentrazione della mente.
A. G. Mohan – Lo Yoga per il corpo il respiro e la mente
Il respiro ha una caratteristica unica, cioè è una funzione sia volontaria che involontaria: se da una parte può essere certamente importante imparare a modificare in modo appropriato e volontariamente lo schema respiratorio, dall’altra una pratica ancora più importante è quella della consapevolezza del respiro involontario.
In questo caso l’attenzione viene portata sul processo del respirare, senza controllare, manipolare o interferire, ma lasciando il respiro naturale e spontaneo.
Questa modalità di utilizzo del respiro in alcune tradizioni dello Yoga viene chiamato “pranayama spirituale”: ciò sta a indicare che la pratica e i suoi effetti sono ad un livello più sottile, cioè che il pranayama diventa in questa modalità una tecnica meditativa vera e propria.
La consapevolezza del respiro naturale è utilizzata ampiamente un po’ in tutte le correnti del Buddhismo, specialmente in quelle più contemplative.
In particolare nella tradizione Theravada, il Sutra sulla piena consapevolezza del respiro (Anapanasati Sutta), nel quale la consapevolezza del respiro involontario è il fulcro di tutta la pratica, viene considerato, insiene al Sutra sui quattro fondamenti della consapevolezza (Satipatthana Sutta), uno dei testi più importanti.
La pratica è semplice, ma proprio perché molto semplice, non è affatto facile, soprattutto se si è principianti e non si ha nessuna esperienza contemplativa.
In generale, senza entrare nelle svariate sfaccettature della pratica, si può dire che il respiro viene lasciato così com’è, naturale e spontaneo e, di momento in momento, l’esperienza del respirare è la base, l’oggetto primario dell’attenzione.
Attraverso l’attenzione al respiro, cioè attraverso la consapevolezza delle varie sensazioni fisiche legate al processo del respirare, si diviene pienamente consapevoli sia delle varie caratteristiche e qualità del respiro stesso (corto, lungo, localizzazione ecc.), sia del corpo (posizione, sensazioni tattili), come anche dei vari aspetti più sottili del flusso mentale: corpo, respiro e mente si unificano e si calmano, e alla fine semplicemente sediamo al centro della nostra esperienza lasciando che tutto sia esattamente così com’è, senza più alcuna separazione.
Il respiro simbolizza tutta la nostra esperienza, è un po’ una metafora della vita stessa: è un processo che continuamente cambia, che possiamo entro certi limiti influenzare, ma che è anche completamente autonomo, involontario. È una manifestazione della nostra energia vitale come anche un indicatore del nostro stato psicofisico.
Essere totalmente presenti nell’esperienza del respirare senza controllare nè interferire permette all’intelligenza energia che ci anima di riportare naturalmente vitalità e armonia in noi stessi.
Sia che si scelga di modificare volontariamente lo schema respiratorio o che invece si opti per una forma di pratica che utilizza il respiro così com’è, il respiro naturale e spontaneo, in entrambi i casi la consapevolezza, un’attenzione sveglia e ricettiva è l’aspetto principale della pratica.