Ampliare l’orizzonte della Mindfulness - un approccio Contemplativo alla Vita
Un insieme di qualità naturali che possiamo coltivare
In questa pagina presento alcune riflessioni sul tema della mindfulness, fornendone inizialmente una introduzione generale, e poi proponendo alcune considerazioni sui suoi punti di forza e di debolezza; nella parte finale, metto in evidenza come la mindfulness, nel senso più ampio e integrale di questo termine, cioè come approccio contemplativo alla vita, possa aiutarci a ritrovare quella serenità e felicità, a cui tutti aspiriamo, soprattutto nella nostra società, dove la frenesia e l’agitazione la fanno da padrone.
Gli approcci e le pratiche meditative basate sulla consapevolezza (mindfulness) sono utilizzate da millenni, in oriente come in occidente, principalmente nel campo della ricerca spirituale e filosofica, ma anche in quello terapeutico o di semplice miglioramento delle performance individuali. Le riflessioni che seguono si snodano intorno a cinque punti essenziali:
1. Mindfulness non è una nuova moda proveniente dagli Stati Uniti, sebbene ovviamente i protocolli MBSR (Mindfulness Based Stress Reduction) e MBCT (Mindfulness Based Cognitive Therapy) siano stati sviluppati e si siano affermati come pratiche di gestione e riduzione dello stress e di terapia psicologica nel mondo anglosassone;
2. Non è nemmeno una tradizione mistico-esoterica orientale, sebbene la teoria e le tecniche meditative che oggi conosciamo e pratichiamo anche in occidente, e che fanno parte delle pratiche di mindfulness, siano principalmente state sviluppate in oriente, e in particolar modo nella tradizione del Buddhismo;
3. Non è neppure una nuova scoperta della scienza medica e psicologica, benché certamente, negli ultimi anni, si sia fatta molta ricerca scientifica sugli effetti benefici della pratica di mindfulness, e siano stati definiti dei protocolli scientifici basati su tale pratica meditativa per migliorare e curare svariate patologie sia psichiche che fisiche;
4. L’approccio mindfulness consiste nell’allenare un insieme di qualità naturali che ci permettono di vivere meglio, e che coinvolgono la totalità della nostra esistenza, il come ci mettiamo in relazione con noi stessi, con gli altri e con il mondo;
5. Poiché tali qualità sono appunto naturali, cioè sono presenti in ogni essere umano, in occidente come in oriente, la coltivazione di tali qualità è presente anche nella nostra tradizione sapienziale-filosofica occidentale, sebbene nei secoli siano andate perse le tecniche e lo spirito di tali pratiche.
Vorrei partire proprio da questo ultimo punto mettendo in evidenza, attraverso le parole del filosofo francese Pierre Hadot, come l’allenamento dell’attenzione o presenza mentale fosse parte integrante del training filosofico dell’antichità:
"È dunque estremamente significativo che le due scuole, stoica ed epicurea, benché per molti versi opposte, pongano entrambi al centro del loro modo di vivere la concentrazione della coscienza sul momento presente." Pierre Hadot – Ricordati di vivere
Se, ad esempio, si leggono i Pensieri di Marco Aurelio, imperatore romano ma anche filosofo Stoico vissuto nel II secolo, si trova un costante riferimento all’importanza di vivere nel presente. L’enfasi sulla presenza mentale percorre, come una corrente sotterranea, forse nascosta e poco conosciuta, tutto lo sviluppo del pensiero occidentale, come descrive Pierre Hadot nel suo libro “Ricordati di vivere”, in particolare nel primo capitolo “La presenza è l’unica dea che adoro”. Egli cita per esempio il Faust di Goethe:
"L’animo allor placato non guarda a ciò che è stato né a quel che sarà. Solo il presente è la nostra felicità."
Oppure la poesia Elegia, sempre di Goethe:
"Ora per ora
La vita ci è data con gesto amico.
Il lascito di ieri è poca cosa,
e il sapere di domani è proibito.
[…] Fai dunque come me, e guarda
con letizia del saggio l’attimo negli occhi. Non indugiare.
Vagli incontro rapido, benevolo, ricco di vita,
sii così nell’agire , così per la gioia nell’amare.
Dovunque sarai sii tutto questo, come un bambino,
così sarai tutto, da nessuno sarai vinto."
Per primo, nel 1881, lo studioso della lingua pali Thomas William Rhys Davids (1843–1922) tradusse il termine pali sati con la parola inglese mindfulness: da quel momento tale parola inglese è entrata in uso come una delle possibili traduzioni; infatti il temine sati può e viene reso in inglese anche con attention, presence, awareness e in italiano principalmente con attenzione, presenza mentale e consapevolezza.
Da ciò si evince che, sebbene certamente il significato faccia riferimento ad una particolare qualità di attenzione, ad un modo di essere nel presente, il campo semantico sia molto vasto e articolato, ed infatti sono 2500 anni che nel Buddhismo, oltre che praticare mindfulness, si discute sulle sue varie sfumature e caratteristiche.
Certamente all’interno del Buddhismo e dello Yoga troviamo una ricchezza di pratiche basate sulla consapevolezza, da cui infatti derivano gli attuali metodi utilizzati.
Per quanto riguarda l’aspetto terapeutico, le tradizioni mediche orientali, quali ad esempio la medicina Ayurvedica e la Medicina Tradizionale Cinese, da millenni utilizzano pratiche meditative a scopo curativo. D’altra parte, anticamente, in Cina come in India, guerrieri, dignitari di corte, ministri e amministratori utilizzavano pratiche meditative anche per migliorare le loro prestazioni.
Negli anni ‘70 Jon Kabat-Zinn ha iniziato a definire e poi insegnare il metodo di riduzione dello stress basato sulla consapevolezza (MBSR- Mindfulness Based Stress Reduction) presso la Stress Reduction Clinic (di cui era direttore) alla University of Massachusetts Medical School.
Il metodo consiste in un corso di otto settimane dove vengono insegnate e praticate 3 tecniche:
1. La Meditazione di Consapevolezza (derivata dalle tradizioni meditative Vipassana e Chan-Zen)
2. Le posizioni (asana) dello Yoga
3. L’esplorazione del corpo o rotazione della consapevolezza (body scan in inglese): una pratica in posizione supina che consiste nel muovere sistematicamente la consapevolezza nelle varie parti del corpo, pratica presente in varie forme in molte tradizioni.
Negli anni ’80 il protocollo MBSR viene utilizzato e si afferma nell’ambito dell’assistenza sanitaria americana; quindi, negli anni ’90, viene sviluppato il protocollo MBCT (Mindfulness Based Cognitive Therapy) dai tre ricercatori e psichiatri Mark Williams, Zindel Segal e John Teasdale: il protocollo viene inizialmente applicato nella cura e prevenzione della depressione e poi, via via, per molte altri problemi di natura psicologica.
Negli ultimi anni la diffusione delle pratiche basate sulla mindfulness nel mondo anglosassone ha avuto una vera e propria esplosione: oltre che utilizzato in ambito medico e psicologico, vengono proposti corsi di laurea nelle più prestigiose università, viene utilizzata nel campo dell’educazione, come anche nelle carceri; e dal 2007, dopo che Google ha iniziato ad offrire un programma di gestione e riduzione dello stress ai propri dipendenti chiamato Search Inside Yourself, moltissime aziende ne hanno seguito l’esempio.
Un aspetto importante nell’ambito della mindfulness nasce dall’incontro e dalla cooperazione tra la comunità scientifica e le tradizioni contemplative Buddhiste che ha condotto allo sviluppo di centinaia di ricerche scientifiche che dimostrano l’efficacia, la validità e i benefici della pratica meditativa. Alla collaborazione tra scienza e meditazione ha fornito un grande impulso il Dalai Lama che, inizialmente, incontra nel 1979 il fisico David Bohm, uno dei più importanti fisici teorici del XX secolo, e poi conosce Francisco Varela, biologo, neuroscienziato, filosofo, uno dei più innovativi pensatori del secolo scorso, col quale fonda nel 1987 il Mind and Life Institute: istituto che con le sue conferenze ha aperto la strada alla reciproca fecondazione della scienza occidentale con le scienze contemplative orientali.
Jon Kabat-Zinn definisce la mindfulness come il “processo di prestare attenzione in modo intenzionale, nel momento presente, in modo non giudicante, al dispiegarsi dell’esperienza, di momento in momento”.
Shauna Shapiro e altri ricercatori nel loro articolo “Mindfulness: A Proposed Operational Definition” scrivono “Mindfulness è stata descritta come una sorta di consapevolezza (awareness) non rielaborativa, non giudicante, centrata sul momento presente, in cui ciascun pensiero, sentimento, o sensazione che sorge nel campo dell’attenzione è riconosciuto e accettato così com'è.”
Partendo da queste due classiche definizioni possiamo evidenziare tre aspetti significativi della pratica: il primo consiste certamente nello sviluppo e nella stabilizzazione di una particolare qualità di attenzione, una attenzione saggia. Essa concerne prima di tutto il dove dimora la nostra mente: siamo continuamente nel futuro o nel passato, distratti e catturati dalla proliferazione mentale di pensieri ed emozioni, oppure dimoriamo con una certa continuità nell’adesso, nel qui e ora? Abitiamo l’esperienza presente con chiarezza, gentilezza, empatia e amicizia oppure siamo costantemente in lotta, in conflitto con ciò che sperimentiamo, alimentando giudizi, commenti, pensieri in modo compulsivo? Attraverso la coltivazione delle presenza mentale ci familiarizziamo con i processi mente corpo e ritroviamo una dimensione di tranquillità e di liberta interiore che ci permette di rispondere in modo più consapevole e appropriato alle circostanze presenti nella nostra vita, sia quelle ordinarie e familiari, come anche quelle lavorative.
Il secondo aspetto che è importante tenere sempre presente è l’intenzione, la motivazione, poiché essa “colora” e orienta tutta la nostra pratica. Conoscere la propria intenzione significa sapere perché facciamo ciò che stiamo facendo, cioè perché pratichiamo mindfulness. Da una parte perseguiamo la nostra intenzione con energia ed entusiasmo, cioè mettiamo il cuore in ciò che facciamo; ma dall’altra è importante non essere aggrappati alla motivazione in modo rigido, come se fosse uno scopo obbligato; è importante non entrare in una mentalità di sforzo indirizzato ad un obiettivo, ma mantenere la nostra intenzione in modo leggero, aperto, più come un orientamento di fondo, una direzione verso cui ci muoviamo piuttosto che una destinazione fissa e obbligata. Anche perché la motivazione varia a seconda delle persone e dei contesti e si trasforma e cambia con l’andare del tempo: ad esempio una stessa persona potrebbe iniziare con un corso aziendale di riduzione dello stress e poi scoprire dentro di sé un interesse più forte per la pratica contemplativa, e passare quindi ad una intenzione più profonda, formulata tradizionalmente come ricerca della saggezza oppure della liberazione per se stesso e per tutti gli esseri.
Il terzo, e forse più importante aspetto, è l’atteggiamento: esso rappresenta il come ci mettiamo in relazione, di momento in momento, con l’esperienza presente, il come coltiviamo la presenza mentale.
Henepola Gunaratana descrive questo atteggiamento appropriato nel modo seguente:
“La consapevolezza si coltiva con uno sforzo gentile, con uno sforzo senza sforzo. … Nella perseveranza e nel tocco leggero sta il segreto. La consapevolezza si coltiva riportando se stessi, continuamente, in uno strato di consapevolezza: gentilmente, gentilmente, gentilmente”.
Jon Kabat-Zinn, nel libro “Vivere momento per momento” specifica:
"L’atteggiamento con cui ti accosti alla pratica è di cruciale importanza: è il terreno in cui potrai coltivare la tua capacità di calmare la mente e rilassare il corpo, di concentrarti e vedere con chiarezza dentro di te.
Se il terreno del tuo atteggiamento è povero, cioè se il tuo impegno e l’energia che porti nella pratica della consapevolezza sono scarsi; ti sarà difficile coltivare calma e rilassamento con una certa continuità.
Se il terreno del tuo atteggiamento è inquinato, cioè se cerchi di importi il rilassamento e se sei ansiosa di ottenere risultati non crescerà nulla e presto ti convincerai che per te la meditazione non funziona."
Se pratichiamo con uno sforzo non appropriato, con tensione, ansia, preoccupazione, attaccamento al risultato, ciò che svilupperemo sarà proprio maggiore tensione, ansia, preoccupazione: quindi l’atteggiamento appropriato è quello di mantenere un equilibrio tra interesse, perseveranza, energia, entusiasmo, da una parte, e gentilezza, amicizia, tranquillità, ricettività, dall’altra.
I tre aspetti non sono separati, ma intrecciati e interconnessi: fanno parte di un unico processo di auto-educazione dove appunto, attenzione, intenzione e atteggiamento si condizionano e si influenzano reciprocamente. In ultima analisi ciò che rimane, il frutto della pratica, come spiega molto bene Carol Wilson, è un atteggiamento, un modo di essere e di vivere la vita con presenza, sensibilità e apertura:
“Allorché ci rendiamo conto che la pratica meditativa più profonda è la coltivazione di un atteggiamento e non la ricerca di una esperienza speciale, allora tutta la nostra vita si apre e ogni attività può diventare un veicolo di risveglio. La vita è fatta di momenti. La pratica di consapevolezza è semplicemente la coltivazione dell’abilità di incontrare qualunque cosa emerge, di momento in momento, con totale presenza e a cuore aperto.”
Provando a riassumere e concludere questa parte introduttiva, si può affermare che con il termine mindfulness si intendono contemporaneamente tre cose:
1. un insieme di qualità naturali, qualità che sono in ogni essere umano, per lo meno a livello di potenzialità;
2. il processo di coltivazione di queste qualità, cioè le tecniche e l’attività di attualizzare, di “far essere” queste qualità;
3. il risultato, il frutto della nostra pratica: se coltiviamo carote raccogliamo carote, se coltiviamo la consapevolezza, la tranquillità, la gioia, l’equanimità, la gentilezza, la compassione, noi “incarniamo” proprio queste qualità.
Punti di forza e punti di debolezza del corrente approccio occidentale alla Mindfulness
Indubbiamente i protocolli MBSR e MBCT hanno pregi molto importanti ed evidenti:
1. Innanzitutto Jon Kabat-Zinn ed i suoi epigoni hanno avuto il grande merito di far accettare le pratiche della meditazione e dello yoga alla comunità scientifica, sia medica che psicologica, dimostrando l’efficacia, la validità e i benefici di tali pratiche millenarie con centinaia di ricerche scientifiche: basti pensare che nell’arco del solo 2017 sono state censite 692 pubblicazioni scientifiche sulla mindfulness, redatte da centri universitari, medici o psichiatrici di primo ordine, principalmente negli Stati Uniti e in Inghilterra, ma non solo;
2. Per ottenere questo risultato si è adattato, certamente anche in modo intelligente e per certi versi appropriato, le pratiche contemplative alla nostra cultura laica e scientifica: ad esempio adattando alla società e allo stile di vita del 21 secolo il linguaggio, le metafore utilizzate, i simboli proposti dalla tradizione;
3. La pratica meditativa è stata proposta con innegabile successo, principalmente come tecnica di riduzione dello stress e come una forma di psicoterapia;
4. In questo modo, le pratiche del Buddhismo e dello Yoga, sono state rese accessibili ad un vasto pubblico di persone che, in generale, non sarebbe stato interessato a tali metodi, e quindi non ne avrebbe potuto beneficiare.
Questi stessi punti di forza, se osservati sotto un’altra angolazione, possono essere considerati anche i punti di debolezza, gli aspetti che hanno delle criticità su cui riflettere.
Nella tradizione Buddhista si parla di “retta consapevolezza”, potremmo anche dire “mindfulness appropriata”: da questo si evince chiaramente che fin dai tempi del Buddha veniva riconosciuta la possibilità di un utilizzo della presenza mentale non appropriato, non salutare, che non porta beneficio. Per comprendere meglio si possono proporre esempi molto semplici: certamente un ladro o un killer di professione devono avere una grande concentrazione, non possono essere distratti, ma questo non significa che il loro operato sia appropriato, e di beneficio per se stessi e per la comunità in cui vivono. Ne consegue che la presenza mentale, per essere appropriata, almeno dal punto vista Buddhista, non può essere allenata in modo separato dagli altri aspetti del sentiero, cioè quelle qualità relative alla sensibilità etica e alla saggezza.
In occidente, nel processo di rendere accessibili le pratiche del Buddhismo e dello Yoga, spesso si è sottovalutato, e qualche volta si è eliminata del tutto, quella parte degli insegnamenti relativi alla coltivazione della sensibilità etica: aspetto integrante e inscindibile di entrambe le tradizioni.
Insegnare mindfulness ai dipendenti di una multinazionale che distrugge il pianeta è appropriato oppure no? Certo gli impiegati della multinazionale sono stressati e quindi possono beneficiare dei corsi di riduzione dello stress: questo però permette alla multinazionale di distruggere più efficacemente il pianeta. Tenere corsi di riduzione dello stress a personale militare è appropriato oppure no?
Aver inserito la pratica contemplativa Buddhista in una visione del mondo scientifica, e quindi ancora largamente dominata dal dualismo Cartesiano, dalla scissione mente-corpo, dalla scissione soggetto-oggetto, da un modo di vedere sostanzialmente meccanicista e riduzionista, da una parte, ha permesso di far accettare tali pratiche al mondo accademico e ad un vasto pubblico, ma dall’altra ne ha forse modificato la natura profonda. Ad esempio si è passati dal perseguire il risveglio al favorire la riduzione dello stress, si è passati dalla ricerca della liberazione ad una tecnica di self-help che non mette in discussione i problemi della società in cui viviamo. Quale è il limite fino a dove è utile e appropriato semplificare e adattare gli insegnamenti delle tradizioni Buddhista e Yoga, senza snaturali? La sfida nella nostra epoca è quella di presentare gli insegnamenti e le pratiche in maniera adatta agli occidentali, senza distorcerne l’essenza, mantenendo fermi i principi. I protocolli MBSR e MBCT rispondono veramente a questa sfida, oppure, focalizzandosi principalmente sul miglioramento dell’attenzione, sulla consapevolezza del momento presente, e sulla riduzione dello stress non restringono eccessivamente la portata degli insegnamenti Buddhisti?
Ampliare l’orizzonte della Mindfulness: un approccio Contemplativo alla Vita
"Il come è l'arte della vita, e la vita è sempre l'arte dell'impossibile." - Raimon Panikkar
Darsi come obiettivo, come orizzonte della propria pratica, la riduzione dello stress o il non ricadere nella depressione, oppure il migliorare la gestione di un qualche stato patologico psico-fisico, è certamente una cosa valida, ma, a me pare che limiti un po’ le nostre potenzialità: la pratica contemplativa (mindfulness nel suo senso più ampio e integrale) ha sempre avuto, nei millenni, come aspirazione il vivere una vita felice, gioiosa, serena, senza turbamento.
In oriente come in occidente, almeno da 2500 anni, un po’ in tutte le varie tradizioni contemplative si riconosce l’aspirazione fondamentale dell’essere umano alla felicità.
Duemila anni fa, nel Manuale di Epitteto, testo filosofico della tradizione Stoica, troviamo scritto:
"Non cercare di fare in modo che ciò che accade accada come desideri, ma desidera che ciò che accade accada come accade, e il corso della tua vita sarà lieto."
Gli fa eco il filoso contemporaneo Pierre Hadot :
"La felicità è precisamente l’istante in cui l’uomo è interamente in accordo con la natura."
Nelle tre tradizioni filosofiche Stoica, Epicurea e Scettica, sebbene vi fossero delle visioni del mondo molto diverse, e quindi una differente pratica filosofica, si riconosceva come obiettivo fondamentale l’atarassia, il cui significato è tranquillità, assenza di turbamento, di agitazione: una felicità espressa come mancanza di quella frenesia, preoccupazione, ansietà, reattività emotiva che caratterizzano invece il nostro vivere quotidiano.
Il filosofo contemplativo medievale Raimondo Lullo affermava: "Philosophus semper est laetus", il filosofo è sempre lieto; gli fa eco Raimon Panikkar, filosofo contemplativo contemporaneo, che ci esorta a riscoprire che “siamo stati invitati al banchetto della vita”; il poeta E.B. White scrive: “Ci sono due modi di navigare attraverso questo mondo: uno e’ quello di migliorare la vita e l’altro è quello di gioire della vita.”
Nella nostra società siamo ossessionati dal dover migliorare costantemente noi stessi e la nostra vita: questo ci porta ad avere una tensione continua che non ci permette di scoprire veramente chi siamo e di gioire della vita, di godere pienamente della vita, di dare valore all’essere in vita come unico e più prezioso bene.
Se la vita è un banchetto, allora è sempre presente una dimensione gioiosa che è molto importante riscoprire e con cui ci si può sintonizzare; come in un banchetto ci vengono serviti dei piatti che ci piacciono e altri che non ci piacciono, ma questo non sminuisce la gioiosità del banchetto, così nella vita abbiamo sia esperienze piacevoli che spiacevoli, ma questo non inficia la dimensione gioiosa della vita: anzi, proprio perché ci sono esperienze spiacevoli, allora possiamo apprezzare quelle piacevoli; lo spiacevole esiste in relazione al piacevole, e il piacevole esiste in relazione allo spiacevole. L’uno “definisce” l’altro reciprocamente.
La gioia è quel senso di meraviglia che apprezza e accoglie la totalità della nostra esperienza: purtroppo tendiamo a non essere sintonizzati con questa dimensione della vita. Già Lucrezio, poeta latino, affermava
"In primo luogo il luminoso e puro colore del cielo e quanto esso contiene in sé, gli astri vaganti in ogni parte, e la luna e il sole con lo splendore della luce chiarissima; se tutte queste cose, ora, per la prima volta, apparissero agli uomini, se d'improvviso si presentassero loro, senza alcun preavviso, quale mai si potrebbe dire meraviglia più grande, cosa che nessuno prima avrebbe nemmeno osato credere possibile? Niente, io penso: niente sarebbe altrettanto notevole di questo, così meravigliosa sarebbe la vista. Eppure, per la stanchezza di vederlo a sazietà, nessuno ormai si degna di levare lo sguardo alle volte lucenti del cielo."
Quindi già Lucrezio, vissuto nel primo secolo prima dell’era cristiana, si lamentava dell’incapacità dell’essere umano di meravigliarsi della vita: oggi è altrettanto importante ribadire l’importanza di risvegliare dentro di noi la capacità di sintonizzarsi con questo modo di sentire, che ci permette di riconciliarci e apprezzare di nuovo la nostra esistenza, nella sua quotidianità, cioè di riscoprire la bellezza e lo stupore nelle esperienze ordinarie. È una sensazione di appagamento di interiore, un cuore contento che apprezza ciò che siamo, così come siamo, che apprezza ciò che facciamo, così come lo facciamo, che apprezza le circostanze della vita, così come sono.
Certe volte la pratica meditativa, la pratica di mindfulness, viene proposta come uno strumento per ottenere uno scopo che viene presentato come lontano, qualcosa che ora non c’è e che desideriamo raggiungere: sebbene non del tutto errato, questo modo di vedere è parziale e, per certi versi, fuorviante.
La pratica contemplativa non ha nessuno scopo, se non se stessa, se non lo sviluppo di un atteggiamento contemplativo nei confronti della vita: la consapevolezza, la tranquillità, la gioia, l’equanimità, la gentilezza, la compassione sono sia la via che il risultato.
Vorrei quindi concludere con una citazione di Nisargadatta Maharaj che ci riconcilia con il fluire della vita, con la semplicità e naturalezza del suo svolgersi:
"Quando hai capito che la destinazione è la strada e che tu sei sempre sulla strada, non per giungere a destinazione, ma per godere della sua bellezza e della sua saggezza, la vita cessa di essere un dovere e diventa semplice e naturale, una beatitudine in sé e per sé."