Insegnare imparare yoga

Non v’è nulla di più grande per l’uomo che imparare e assimilare costantemente.

Sofocle – citato in Raimon Panikkar – Mistica pienezza di vita.

Appena ho conosciuto una cosa, incomincio di nuovo a conoscerla.

Heinz von Foerster – La verità è l'invenzione di un bugiardo. Colloqui per scettici.

Nella nostra società siamo abituati a usare un modo di vedere statico, che separa le persone e che enfatizza i ruoli: ogni persona si identifica completamente con il proprio ruolo ed è separata dalle altre persone con cui interagisce.

Questo modello si ripercuote anche su come insegniamo e/o impariamo yoga, e, in generale in tutte quelle situazioni dove c’è in atto un processo esplicito di apprendimento.

In questo modo di vedere a cui siamo abituati e che in qualche modo abbiamo introiettato, l’insegnante è attivo, e possiede tutta la conoscenza e la trasmette, la travasa “meccanicamente” agli studenti che non sanno nulla, e che ricevono passivamente ciò che gli viene trasmesso. C’è quindi una relazione unidirezionale, dall’insegnante allo studente, dove l’insegnante non impara nulla (sa già tutto per definizione) e lo studente impara tutto (non sa nulla per definizione). C’è una gerarchia chiara: il potere è dalla parte dell’insegnante e lo studente è in qualche modo in una posizione subalterna.

La conoscenza diventa un qualcosa di statico, oggettivo, una merce di scambio che è venduta e comprata; viene vista cioè come una sorta di “bene” che si possiede: più se ne ha e più si ha potere e si è ricchi.

Possiamo riflettere su questo modello per cercare di capire se veramente rappresenta la realtà di ciò che accade in un processo di apprendimento, e se è veramente funzionale e salutare ai fini di stabilire delle relazioni in cui ci sentiamo a nostro agio e che ci danno gioia, come anche nello sviluppo di una conoscenza autentica.

Soprattutto se si parla di Buddhismo, di Yoga, di crescita personale, di un percorso lungo un cammino di conoscenza, allora credo che il processo di apprendimento sia qualcosa di vivo e dinamico: sia l’insegnante che lo studente sono all’interno di questo processo e interagiscono reciprocamente e dinamicamente.

Il punto assolutamente fondamentale, in questo metodo ironico, è il cammino percorso assieme da Socrate e dal suo interlocutore. ...

Socrate è l’ostetrico degli spiriti: li assiste nella loro nascita. Egli stesso non genera nulla, poiché non sa nulla, si limita ad aiutare gli altri a generare se stessi. Questa maieutica socratica rovescia totalmente i rapporti tra maestro e discepolo, come ha visto bene Kierkegaard: “Poiché essere un maestro non significa dire: “E’ così”, non significa neanche impartire lezioni, e simili; no: essere un maestro significa, in verità, essere discepolo. L’insegnamento comincia quando tu, maestro, impari dal discepolo, quando tu ti trasferisci in ciò che ha compreso, e nel modo in cui ha compreso. …

Il discepolo è l’occasione perché il maestro comprenda se stesso, e viceversa il maestro è l’occasione perché il discepolo comprenda se stesso”.

Pierre Hadot – Esercizi spirituali e filosofia antica.

Inoltre la conoscenza stessa è qualcosa di vivo e dinamico: in questo senso la conoscenza non è un qualcosa che si acquista, si immagazzina, si vende, si insegna, ma è più un modo di essere, un modo vivere, una qualità di mente-corpo che si sviluppa attraverso la pratica.

All’interno di un processo di conoscenza autentico ognuno, senza distinzione di ruolo (insegnante o studente), riconosce, allena e sviluppa in continuazione alcune qualità che interagiscono e sono collegate le une alle altre.

In una possibile lista (certamente non esaustiva) di queste qualità possiamo includere ciò che viene definito la mente del principiante: se nell’allievo non c’è interesse e/o spazio per il nuovo, allora diventa impossibile la relazione e il cambiamento; se l’insegnante è pieno della sua conoscenza, da una parte si pone al di fuori del processo e quindi non apprende nulla, e, dall’altra, si chiude alla relazione “vera” che avviene con uno studente “vero” e non riesce ad interagire in modo efficace.

Nella mente del principiante ci sono molte possibilità, in quella da esperto poche.

Suzuki Roshi

Un’altra qualità fondamentale è certamente l’autenticità: la capacità di condividere, di momento in momento, ciò che siamo, così come siamo, senza nasconderci in un ruolo prefissato, sia quello dell’insegnante che quello dello studente; la realtà è che in ogni momento e con ogni gesto, comunque, si trasmette ciò che si è, quindi è del tutto inutile e controproducente assumere intenzionalmente una “maschera”, molto meglio cercare di riconoscere e di liberarci da tutte le maschere. Anche se non è sempre facile e molto spesso poco rimunerativo occorre, per quello che è possibile, rimanere esposti e vulnerabili alla relazione, occorre non creare barriere artificiali che impediscono i rapporti autentici.

Nell’insegnamento si trasmette ciò che si è. Non conta il sapere accumulato, ma la nostra condizione d’Essere.

Gerard Blitz

Inoltre è certamente molto importante l’empatia cioè la capacità naturale di entrare in relazione, prima di tutto con noi stessi, e poi con l’altro in modo caldo e gioioso, in modo gentile e sensibile, lasciando andare i giudizi e i preconcetti; ma soprattutto lasciando andare la separazione per vivere e sentire con l’altro, senza per questo perderci o identificarci con l’altro.

Nel corso degli anni, tuttavia, i risultati delle ricerche condotte sono andati ammassandosi, e hanno decisamente rafforzato la conclusione che un alto grado di empatia in una relazione è probabilmente il fattore più potente nell’apportare trasformazioni e apprendimento.

Carl G. Rogers – Un modo di essere

Per concludere questa lista di qualità possiamo menzionare l'intenzione, l’aspirazione sincera ad entrare in questo processo di apprendimento, insieme alla capacità di vivere l’esperienza del momento lasciando andare gli attaccamenti ad un risultato predefinito.

Questo non significa che non ci sono ruoli, che non c’è rispetto reciproco, che non viene riconosciuto che c’è qualcuno che, in qualche modo, ha una conoscenza più viva, un’esperienza da condividere: direi che è proprio il contrario.

Quindi, come insegnanti, se da una parte non ci aggrappiamo al nostro ruolo, dall’altra certamente riconosciamo che ci sono dei compiti, che abbiamo delle responsabilità.

Sinteticamente possiamo dire che esse comprendono, prima di tutto, la capacità di “incarnare” ciò che si insegna: questo significa, ad un livello minimo, insegnare ciò che realmente si pratica e si conosce, e, possibilmente, ciò che si è praticato per molti e molti anni e di cui si ha una esperienza diretta.

Inoltre è di estrema importanza saper creare un contesto che favorisca l’apprendimento e la crescita, dove il contesto è formato da molti aspetti che possiamo brevemente sintetizzare nella qualità del luogo fisico e nella qualità della relazione reciproca tra insegnante e allievi; principalmente significa favorire un clima amichevole ed empatico e creare uno spazio armonioso dove ognuno si senta a proprio agio e sicuro.

Come ultimo compito possiamo citare la competenza nel fornire gli strumenti, cioè i metodi, le tecniche, le pratiche.

Ti indicherò dov’è il pozzo, dove è la corda, dove è il secchio.

Ti insegnerò a servirti della corda e del secchio,

ma non tirerò la corda per te.

Veda

Poiché la ricerca interiore riguarda il modo di percepire e vivere la vita, allora l’insegnante adotta un metodo didattico che favorisce la comprensione diretta, esperienziale: questo non significa che non c’è una parte teorica, che non si espone il modo di vedere, ma vuol dire che la parte teorica viene introdotta gradualmente, nella misura in cui l’allievo riesce a verificarla, a farla propria. In questo modo si favorisce nell’allievo la crescita dell’autostima, della fiducia nei propri mezzi e nelle proprie capacità, che è un fattore essenziale.

Due errori molto grandi sono quelli di fornire troppe informazioni non verificabili esperienzialmente dall’allievo e di creare un clima in cui l’allievo si sente in soggezione, in qualche modo schiacciato dall’insegnante e/o dall’insegnamento: questi errori bloccano ogni possibilità di reale comprensione e evoluzione.

Per ultimo vorrei fare alcune considerazioni sull’aspetto paradossale dell’insegnamento nel campo della ricerca interiore. Se da una parte tutto il cammino di conoscenza è certamente paradossale, a maggior ragione lo è l’insegnamento: lo stesso termine insegnare è fuorviante.

In generale, qualsiasi sia il campo della conoscenza che vogliamo considerare, penso che come esseri umani possiamo insegnare molto poco, ciò che invece possiamo fare è imparare ad apprendere dalle relazioni e dalle esperienze. Non è l’insegnante che insegna all’allievo, né l’allievo che impara dall’insegnante, ma piuttosto entrambi sono all’interno dello stesso processo di apprendimento e possono imparare grazie al contesto della loro relazione e all’interesse e all’amore che hanno per la materia di studio.

In altre parole, se si considera la relazione tra insegnante e allievo in modo statico, lineare, unidirezionale, e la si astrae dal contesto, allora si blocca ogni possibilità di reale evoluzione: è solo riconoscendo e dando importanza alla qualità della relazione in sé e alla sua natura reciproca e dinamica, che sia l’insegnate che l’allievo hanno la possibilità di apprendere reciprocamente.

In particolare, nel campo della ricerca interiore, a me sembra si possa solo testimoniare, si possa solo incarnare, si possa al più indicare, ma di certo non si può insegnare a qualcuno a essere stabile e a proprio agio, presente e rilassato, non si può insegnare ad essere in contatto con se stessi in modo amichevole ed empatico, non si può insegnare a riscoprire e a dimorare in ciò che già si è.

Qualsiasi sia il nostro modo di vedere circa il processo di insegnare imparare yoga, mi sembra importante che ognuno rifletta su di esso e lo renda cosciente.

Allenarsi a mantenere chiaro ed esplicito il nostro modo di vedere ci permette di interagire gli uni con gli altri in modo più salutare, ci aiuta a sentirci reciprocamente più a nostro agio e facilita il nostro processo di crescita.

Il ruolo dell’insegnante non è quello di affermarsi, ma di dare gli strumenti e poi, passo passo, gradualmente sparire.

Gerard Blitz