Resto in attesa di quei momenti in cui il mistero viene a permeare ogni cosa, insinuandosi sottilmente in tutto, e tutto impregnando del suo splendore. Nessun metodo può produrre la consapevolezza del mistero. Tutto ciò che posso fare è rimanere preparato e ricettivo al suo manifestarsi.
Stephen Batchelor – La via del dubbio.
Qualcuno potrebbe pensare che il frutto della pratica sia di chiarire o di svelare il mistero della vita; si potrebbe pensare che una volta raggiunta la meta il mistero della vita non sia più tale, e che finalmente si ottenga una conoscenza totale e completa.
A me pare invece che attraverso la pratica, il mistero della vita rimanga tale, anzi, per certi versi, si può dire che sia ancora più misterioso, nel senso che la pratica ci permette proprio di entrare in contatto con quella dimensione di mistero e di ineffabilità da cui abitualmente siamo separati.
La ricerca interiore ci permette di riconoscere questo aspetto della nostra esistenza e, nello stesso tempo, di lasciare andare la paura, di sentirci a nostro agio con questa diemensione così com’è, senza bisogno di nessuna comprensione concettuale, razionale: il paradosso è che siamo più in contatto con il mistero che ci circonda e ci permea, e nello stesso tempo siamo a nostro agio in questo contatto.
Forse perché insieme al mistero c’è la percezione della meraviglia della vita: meraviglia intesa sia come apprezzamento della bellezza, e sia come senso di stupore, senso di sorpresa.
Nisargadatta Maharaj si esprime in questo modo:
La meraviglia è l’alba della saggezza. Stupirsi costantemente è un sadhana.
Sri Nisargadatta Maharaj – Io sono quello.
Quindi la meraviglia rappresenta un po’ l’origine, la nascita della saggezza, ed è qualcosa che va praticato: cioè invece di aver paura e cercare di sfuggire da questo stato di stupore, di mistero in cui, soprattutto all’inizio, ci si può sentire insicuri, vulnerabili, spaesati, e in cui non ci si può aggrappare a nulla, occorre invece prendere dimora in esso, assaporarlo e accoglierlo completamente.
Il senso del mistero e della meraviglia sono intrecciati e complemetari: possiamo entrare in contatto con tale dimensione quando lasciamo cadere l’illusione del controllo, l’illusione che attraverso uno sforzo di volontà si sia in grado di determinare la nostra vita.
Rendersi conto che le cose più fondamentali della realtà sono fuori dalla giurisdizione del pensiero e della volontà costituisce per molte culture l'inizio della maturità. È questa coscienza che porta a lasciar crescere la fiducia nella realtà, che è la fonte della gioia e della pace.
Raimon Panikkar – Mistica pienezza di vita.
La frase di Panikkar è molto bella perché mette in risalto due aspetti fondamentali della nostra vita come della pratica interiore, due aspetti che sono legati reciprocamente.
Il senso di fiducia, di apertura nei confronti della vita, dal quale nasce la gioia e la pace, scaturisce dalla consapevolezza del mistero meraviglia; viceversa, in accordo con un po’ tutte le varie tradizioni contemplative che raccomandano di coltivare la tranquillità e l’appagamento interiore, si può affermare che la dimensione del mistero meraviglia può essere ri scoperta e vissuta con agio solo se impariamo a dimorare in una mente pacifica e spaziosa e in un cuore contento e gioioso.
Nel momento in cui si entra in contatto con il senso del mistero meraviglia si scopre che la nostra esperienza è più ampia e più ricca delle nostre costruzioni concettuali, del nostro linguaggio, dei nostri sistemi di credenze, e non può essere in alcun modo racchiusa in essi.
E si scopre che la nostra vita non è determinata nè prodotta dalla nostra piccola volontà, dal nostro piccolo io: quando ci rilassiamo in questa scoperta e ci apriamo con fiducia alla dimensione più ampia a cui apparteniamo e che, simultaneamente, ci appartiene, allora, in quei momenti, naturalmente ci riconciliamo con noi stessi e col mondo e possiamo sperimentare vera pace e vera gioia.
È interessante notare come Panikkar dica che, in molte culture, ciò è considerato l’inizio della maturità. Condizionati come siamo dall’abitudine (illusoria) al controllo che cerchiamo di esercitare sia verso l’esterno che verso l’interno, condizionati dall’idea del “self made men”, dell’uomo che tramite il proprio sforzo e la propria volontà costruisce il proprio successo, si potrebbe pensare che quanto detto sia legato ad una visione passiva e orientaleggiante della vita, una visione che non appartiene alla nostra cultura.
Certamente questo atteggiamento nei confronti della vita non è parte della visione culturale attualmente dominante, ed è, sotto molti aspetti, antitetico a tale concezione, ma è certamente parte della nostra eredità culturale: basti pensare a tutta la tradizione contemplativa occidentale o, ad esempio, alla filosofia Stoica, e, in particolare, al Manuale di Epitteto. In esso si afferma che occorre costantemente riflettere su “ciò che dipende da noi e ciò che non dipende da noi” e si afferma sostanzialmente che nulla delle cose mondane dipende veramente da noi: il corpo e il relativo stato di salute o malattia, i possedimenti e quindi la nostra ricchezza o povertà, lo stato sociale con la relativa fama o discredito, il successo o il fallimento nelle nostre attività, ecc., tutte queste cose non dipendono da noi ma da un insieme di fattori che, in ultima analisi, non sono sotto il nostro controllo.
Ciò che dipende veramente da noi è il coltivare un atteggiamento interiore appropriato e salutare nei confronti della vita: una delle componenti di questo atteggiamento è proprio il riconoscere, come dice Panikkar, che “le cose più fondamentali della realtà sono fuori dalla giurisdizione del pensiero e della volontà”.
Nel Manuale di Epitteto si afferma che la nostra libertà e la nostra felicità dipendono proprio dal discernere ciò che dipende veramente da noi e di cui dovremmo prenderci cura, da ciò che non dipende da noi e di cui non dovremmo preoccuparci.
Nel Buddhismo ritroviamo un insegnamento molto simile al Manuale di Epitteto se non proprio identico, l’insegnamento sulle otto preoccupazioni mondane. In esso si afferma che la vita è una successione costante di piacere dolore, guadagno perdita, fama discredito e lode biasimo. Questi otto aspetti cambiano in continuazione, alternandosi in un fluire continuo che è fuori dal nostro controllo.
La sofferenza nasce dal credere di poter controllare ciò che non può essere controllato cercando di aggrapparci a ciò che ci piace e cercando di respingere ciò che non ci piace.
La felicità e la libertà nascono dal coltivare un atteggiamento di equilibrio e di non reattività mentale che ci permette di essere in contatto con qualsiasi esperienza senza essere in lotta e senza essere sopraffatti. Invece di alimentare il giudizio promuoviamo la spaziosità e la stabilità mentale che ci permettono di vivere a pieno ogni momento: quando una esperienza arriva la riconosciamo e la accogliamo, quando se ne va la lasciamo andare.
Finchè si rimane attaccati alle “certezze” che il sistema educativo e sociale ci forniscono e che continuamente rinforzano, finchè pensiamo di sapere con sicurezza “chi sono io” e “che cosa è il mondo”, allora non si ha nessuna possibilità di entrare in contatto con questa dimensione ineffabile della vita.
A questo proposito mi sembra interessante il seguente brano:
Una volta Chuang Chou sognò d’essere una farfalla: era una farfalla perfettamente felice, che si dilettava di seguire il proprio capriccio. Non sapeva di essere Chou. Improvvisamente si destò e allora fu Chou, gravato della forma. Non sapeva se era Chou che aveva sognato d’essere la farfalla o una farfalla che sognava d’essere Chou.
Chuang-Tzu – A cura di Fausto Tomassini.
È Chuang Tzu che ha sognato di essere diventato una farfalla o è la farfalla a sognare di essere Chuang Tzu? Nel porsi la domanda si apre un varco nelle nostre certezze, si genera uno spazio di non sapere: proprio in questo spazio di non sapere nasce la possibilità di entrare in contatto con questa dimensione più sottile.
Le certezze ci forniscono una sicurezza, mentre il non sapere può spaventarci: però ognuno deve verificare per se stesso se questa sicurezza non sia, in definitiva, superficiale e illusoria, se questa sicurezza non sia invece una gabbia che ci limita e ci porta sofferenza.
Certamente la spaziosità del non sapere può essere vissuta in modo problematico, con inquietudine o paura, però, se aspiriamo ad essere liberi, non dovremmo proprio dimorare in questo spaziosità ?
Tutto il cammino interiore può forse essere visto come un modo per ri educarci a non dare nulla per scontato e per imparare ad apprezzare di nuovo, e di nuovo ancora, il semplice e naturale dispiegarsi della vita così com’è.
Per fare questo occorre coltivare quell’atteggiamento di apertura, di vulnerabilità, di disponibilità a incontrare la vita in tutti i suoi aspetti così meravigliosamente descritto nella seguente poesia di Rumi:
L’essere umano è come una locanda.
Ogni mattina un nuovo arrivo.
Momenti di gioia, di depressione, di meschinità,
a volte un lampo di consapevolezza giunge
come un visitatore inatteso.
Dai loro il benvenuto e intrattienili tutti!
Anche se c’è una moltitudine di dolori,
che violentemente svuota la tua casa
portando via tutti i mobili,
tratta ugualmente ogni ospite con rispetto.
Potrebbe aprirti a qualche nuova gioia.
I pensieri cupi, la vergogna, la malizia,
Accoglili sulla porta con un sorriso,
ed invitali ad entrare.
Sii grato chiunque arrivi,
perché ognuno è stato mandato
dall’aldilà per farti da guida.
Rumi – La locanda – Traduzione personale dall’inglese.
Quando diamo il benvenuto, quando diciamo sì a ciò che di momento in momento la vita ci riserva, ritroviamo un senso di agio e di spaziosità che è in sé appagante.
Purtroppo le parole possono suonare un po’ stonate quando si cerca di descrivere questa dimensione dell’esistenza, e nello stesso tempo forse vale la pena parlarne, descriverla, magari solo per ricordarci, per ricollegarci, per rimanere aperti.
Se sei innamorato del Mistero, veramente innamorato del Mistero colmo di compassione,
il Mistero ti verrà rivelato e tu sarai questo Mistero,
ma non sarai in grado di descrivere quello che hai visto.
Mistero, bellezza, pace e amore sono una unica cosa.
H. W. L. Poonja – Il vuoto che danza.