Il Dhamma non è lontano, è qui con noi. Non ha a che vedere con gli angeli del paradiso o cose del genere. Ha a che vedere con noi, con quello che stiamo facendo in questo preciso momento. Osservatevi. A volte c’è felicità, a volte c’è sofferenza, a volte il piacere, a volte il dolore, a volte l’amore, a volte l’odio … questo è il Dhamma. Capite? È questo il Dhamma da conoscere, dovete indagare la vostra esperienza.
Achaan Chah - Il Dhamma Vivo
Achaan Chah - Il Dhamma Vivo
Se si volesse rispondere in modo approfondito e nello stesso tempo sintetico alla domanda “Che cosa è il Buddhismo?”, innanzitutto occorrerebbe dire che il termine stesso “Buddhismo”, benché ormai di uso comune, non è del tutto appropriato. In modo più consono e preciso occorrerebbe parlare di “Buddha-Dharma”, dove la parola sanscrita Dharma (pali Dhamma) ha in generale molti significati, ma in questo contesto indica simultaneamente due cose: la prima è l’insegnamento del Buddha, mentre il secondo significato si può rendere come legge/regola di natura, oppure “le cose così come sono”, o anche il modo di funzionare proprio del mondo. Si può affermare quindi che il Buddha ha riscoperto il Dharma e lo ha insegnato, cioè ha riscoperto l’ordine naturale delle cose così come sono, il modo di funzionare del mondo, e ha insegnato un insieme di conoscenze/prassi che ci permettono di vivere in modo appropriato e armonico nel mondo.
Quando, nel Buddhismo, parliamo di mondo o natura, non intendiamo però un qualcosa “là fuori”, separato e indipendente da noi stessi, cioè separato e indipendente dal soggetto che lo sperimenta. Con mondo si intende il mondo dell’esperienza, la nostra esperienza immediata, il percepire-conoscere dei 5 sensi e della mente: il percepire forme e colori attraverso gli occhi, sensazioni tattili attraverso il corpo, suoni, odori e gusti attraverso i rispettivi organi di senso; e il conoscere attraverso la mente, cioè l’esperienza di ciò che sinteticamente possiamo chiamare pensieri emozioni, e che si riferisce a quella vasta gamma di fenomeni mentali che chiamiamo ricordi, fantasie, preoccupazioni, desideri, paure, sentimenti, emozioni, stati d’animo, e via dicendo.
Stabilito quindi che l’insegnamento del Buddha riguarda il mondo dell’esperienza e il modo con cui ci mettiamo in relazione con la nostra esperienza immediata, cioè, in sostanza, il nostro modo di vivere, la domanda corretta da porsi è “Quale è l’insegnamento del Buddha?”.
Per rispondere a questa domanda userò due citazioni dai discorsi del Buddha, in cui egli risponde in modo sintetico proprio a questa domanda, cioè “lascerò parlare il Buddha stesso”. Le due citazioni si integrano a vicenda perché riassumono l’insegnamento da due angolazioni diverse e complementari.
La prima citazione viene così riportata e spiegata dal maestro Tailandese Buddhadasa:
La seconda citazione proviene dal terzo libro del Khuddaka Nikaya intitolato Udana; il Buddha, alla reiterata richiesta del monaco errante Bahiya di insegnargli quale fosse la via di conoscenza che insegnava, rispose in questo modo:
Il tratto più importante e più utile dell’insegnamento del Buddha è quello che fa riferimento all’osservare, all’esplorare di momento in momento la nostra esperienza, l’esperienza dei cinque sensi e della mente, non per separarcene né per diventarne schiavi, ma per riscoprire una modalità di percepire-conoscere il più possibile libera da condizionamenti: tradizionalmente questa libertà viene chiamato non attaccamento e si può sperimentare come un senso di spaziosità e di non reattività.
Vivendo nella spaziosità del momento presente è possibile riconoscere e accogliere la nostra esperienza immediata, riscoprendo un modo di essere che ci permette di familiarizzarci e di riconciliarci con la totalità della nostra esperienza e quindi con noi stessi.
Quando, nel Buddhismo, parliamo di mondo o natura, non intendiamo però un qualcosa “là fuori”, separato e indipendente da noi stessi, cioè separato e indipendente dal soggetto che lo sperimenta. Con mondo si intende il mondo dell’esperienza, la nostra esperienza immediata, il percepire-conoscere dei 5 sensi e della mente: il percepire forme e colori attraverso gli occhi, sensazioni tattili attraverso il corpo, suoni, odori e gusti attraverso i rispettivi organi di senso; e il conoscere attraverso la mente, cioè l’esperienza di ciò che sinteticamente possiamo chiamare pensieri emozioni, e che si riferisce a quella vasta gamma di fenomeni mentali che chiamiamo ricordi, fantasie, preoccupazioni, desideri, paure, sentimenti, emozioni, stati d’animo, e via dicendo.
Stabilito quindi che l’insegnamento del Buddha riguarda il mondo dell’esperienza e il modo con cui ci mettiamo in relazione con la nostra esperienza immediata, cioè, in sostanza, il nostro modo di vivere, la domanda corretta da porsi è “Quale è l’insegnamento del Buddha?”.
Per rispondere a questa domanda userò due citazioni dai discorsi del Buddha, in cui egli risponde in modo sintetico proprio a questa domanda, cioè “lascerò parlare il Buddha stesso”. Le due citazioni si integrano a vicenda perché riassumono l’insegnamento da due angolazioni diverse e complementari.
La prima citazione viene così riportata e spiegata dal maestro Tailandese Buddhadasa:
Io definirei il Cuore del Buddhismo con la frase: “Niente a cui attaccarsi”. Nel Majjhima Nikaya il Buddha viene avvicinato da un tale che gli domanda di riassumere l’insegnamento in una unica frase. Il Buddha rispose: “Sabbe dhamma nalam abhinivesaya”. Sabbe dhamma significa “tutte le cose”; nalam, “non ci si dovrebbe”; abhinivesaya, “attaccare”. Niente a cui attaccarsi. Il Buddha proseguì affermando che, chiunque ode questa frase, ode l’intero Buddhismo; chiunque la mette in pratica, mette in pratica l’intero Buddhismo; chiunque ne coglie i frutti, coglie i frutti dell’intero Buddhismo. Comprendere che non c’è niente a cui attaccarsi significa eliminare i virus dell’avidità, dell’odio e dell’illusione; i virus che determinano l’errato comportamento di pensiero, parola e corpo. …
Allargando il significato, si potrebbe dire: “Nessuno si attacchi o si afferri a nulla assumendolo come l’io o il mio”.
Buddhadasa – Il cuore dell’albero della Bodhi
Allargando il significato, si potrebbe dire: “Nessuno si attacchi o si afferri a nulla assumendolo come l’io o il mio”.
Buddhadasa – Il cuore dell’albero della Bodhi
La seconda citazione proviene dal terzo libro del Khuddaka Nikaya intitolato Udana; il Buddha, alla reiterata richiesta del monaco errante Bahiya di insegnargli quale fosse la via di conoscenza che insegnava, rispose in questo modo:
Allora, Bahiya, dovrai esercitarti così: in ciò che è visto ci sia solo ciò che è visto, in ciò che è udito ci sia solo ciò che è udito, in ciò che è percepito [attraverso i 5 sensi] ci sia solo ciò che è percepito, in ciò che è conosciuto [attraverso la mente] ci sia solo ciò che è conosciuto.
Il Buddha – Udana – Versi ispirati
Il Buddha – Udana – Versi ispirati
Il tratto più importante e più utile dell’insegnamento del Buddha è quello che fa riferimento all’osservare, all’esplorare di momento in momento la nostra esperienza, l’esperienza dei cinque sensi e della mente, non per separarcene né per diventarne schiavi, ma per riscoprire una modalità di percepire-conoscere il più possibile libera da condizionamenti: tradizionalmente questa libertà viene chiamato non attaccamento e si può sperimentare come un senso di spaziosità e di non reattività.
Vivendo nella spaziosità del momento presente è possibile riconoscere e accogliere la nostra esperienza immediata, riscoprendo un modo di essere che ci permette di familiarizzarci e di riconciliarci con la totalità della nostra esperienza e quindi con noi stessi.