Un cuore contento una mente spaziosa un tocco leggero

Poiché la pura consapevolezza dell'istante presente è il vero Buddha, nell'apertura e nell'appagamento trovai il Maestro nel mio cuore.
Realizzando che la mente naturale e senza fine è la vera natura del Maestro, non servono più preghiere interessate, supplichevoli o avide, né proteste artificiose.
Semplicemente rilassandoci in questo stato naturale, aperto e non forzato, si ottiene la benedizione dell'autoliberazione senza scopo di tutto ciò che sorge.
Dudjom Rinpoche

Se volessimo analizzare i fattori che influiscono, condizionano e determinano le nostre azioni e, in particolare, la pratica spirituale, un po’ paradossalmente potremmo dividere questi fattori in relazione a tre momenti dell’agire: prima che l’azione abbia inizio possiamo considerare i valori etici, gli obiettivi, le intenzioni, il modo di vedere, e in generale tutto il sistema di credenze a cui più o meno inconsciamente aderiamo; nel momento dell’azione stessa, possiamo tenere presente i mezzi che utilizziamo per raggiungere i nostri scopi, ma anche come facciamo le cose, la qualità di mente corpo che portiamo nelle nostre azioni mentre le compiamo; infine, nel momento successivo all’azione, possiamo pensare alla valutazione, alla riflessione sui risultati: abbiamo raggiunto i nostri obiettivi? Ciò che abbiamo ottenuto è salutare, positivo, appropriato per noi, per gli altri e per il mondo?
A questo punto ci possiamo chiedere: di tutti questi fattori che certamente sono presenti in ogni nostra azione, qual’è quello più importante nella nostra pratica? Ad esempio è meglio basarsi su saldi valori etici, coltivare una buona intenzione, oppure sviluppare una conoscenza, un modo di vedere corretto? C’è un aspetto che è sempre positivo allenare e coltivare qualsiasi siano le diverse circostanze (tempo, luogo, cultura, caratteristiche personali ecc.)?
Tutti questi aspetti sono ugualmente importanti, sono aspetti della stessa totalità: ognuno influenza e determina tutti gli altri, in un processo continuo di reciproca interazione, e allo stesso tempo però, mi sembra di poter dire che la cosa più essenziale da tenere sempre in considerazione è la qualità della nostra azione.
Fin dall’inizio della nostra ricerca mi sembra importante portare l’attenzione sulla qualità della nostra pratica, sulla qualità delle nostre azioni, sul come ci mettiamo in relazione con ciò che facciamo nel momento in cui lo facciamo.

Considerando le nostre azioni dalla prospettiva della consapevolezza, ciò che stiamo facendo in un determinato momento è meno importante di come lo facciamo.
Will Johnson – Aligned, Relaxed, Resilient (traduzione personale dall’inglese)

Nella nostra società c’è molta enfasi sul fare, sul fare e basta, ma nessuno ci insegna che il come facciamo, la qualità di mente-corpo che portiamo nell’azione riveste una grande importanza, una importanza forse maggiore di quello che facciamo.

Nella mia ricerca, nell’utilizzo di metodi, di tecniche mutuate da diverse tradizioni spirituali, così come nella mia vita quotidiana, nell’agire come nel contemplare, ho trovato importante ritornare, ricollegarmi continuamente ad una serie di qualità interiori che mi piace descrivere con una formula semplice: un cuore contento, una mente spaziosa, un tocco leggero.

In alcune tradizioni spirituali c’è una certa enfasi sulla sofferenza, sul riconoscere la sofferenza nelle sue varie forme, grossolane e sottili.
Senza voler sminuire l’importanza di un tale riconoscimento, io penso che, soprattutto per dei praticanti laici, sia molto importante mantenere un equilibrio tra l’aspetto della sofferenza, del disagio e quello del benessere, della gioia, penso sia molto importante imparare a riconoscere ed entrare in risonanza con entrambi, senza essere sopraffatti o portati via da nessuno dei due.
Mi ha sempre inspirato molto l’insegnamento di Thich Nhat Hanh che ci invita a sorridere quando entriamo in contatto con i vari aspetti della vita:

La vita è piena di sofferenza, ma è anche piena di meraviglie. L’azzurro del cielo, la luce del sole, lo sguardo di un bimbo. Soffrire non basta, dobbiamo anche essere in contatto con le cose stupende della vita, dentro di noi e attorno a noi, ovunque, ad ogni istante.

La vita è terribile e splendida insieme. Meditare è entrare in contatto con tutti e due gli aspetti. Non pensate che occorra assumere un atteggiamento solenne: quello che invece ci serve e’ sorridere molto.

Sorridere significa che siamo noi stessi, che abbiamo sovranità su noi stessi, che non stiamo affondando nella distrazione. Questo è il sorriso che vedete sul volto dei Buddha e dei Bodhisattva.
Thich Nhat Hanh – Essere Pace.

Questo sorriso interiore è un atteggiamento nei confronti della vita che possiamo riscoprire e sviluppare. Non è però un modo per negare o scacciare la sofferenza: al contrario è un modo per imparare ad accogliere veramente l’esperienza del momento, scoprendo al contempo che siamo in grado di non essere portati via dall’esperienza, non essere schiacciati, ma invece mantenere un equilibrio, un centro.
Di nuovo possiamo lasciar parlare Thich Nhat Hanh:

Una volta un’amica mi ha chiesto: “Devo costringermi a sorridere anche quando sono piena di tristezza? Mi sembra innaturale”. Le ho risposto che noi siamo in grado di sorridere alla tristezza, perché siamo di più della nostra tristezza. Un essere umano è come un televisore con centinaia di canali. Se ci sintonizziamo sul Buddha, siamo il Buddha; se ci sintonizziamo sulla tristezza, siamo la tristezza; e se ci sintonizziamo sul sorriso, siamo davvero il sorriso. Non lasciamoci tiranneggiare da un unico canale. Abbiamo in noi tutti i semi: prendiamo la situazione in mano e recuperiamo la sovranità su noi stessi.
Thich Nhat Hanh – Essere Pace.

Nella nostra società siamo ossessionati dal dover migliorare costantemente noi stessi e la nostra vita: questo ci porta ad avere una tensione continua che non ci permette di scoprire veramente chi siamo e di gioire della vita.

Ci sono due modi di navigare attraverso questo mondo: uno e’ quello di migliorare la vita e l’altro è quello di gioire della vita.
E.B. White citato da Jack Kornfield in After the ecstasy, the laundry (traduzione personale dall’inglese)

Penso che sia veramente importante, soprattutto per un occidentale, riscoprire, come dice Raimon Panikkar, che “siamo stati invitati al banchetto della vita”.
È una sensazione di appagamento di interiore, un cuore contento che apprezza ciò che siamo, così come siamo, che apprezza ciò che facciamo, così come lo facciamo, che apprezza le circostanze della vita, così come sono.

Negli Yoga Sutra, nella sezione dedicata alla sensibilità etica (yama e niyama) si fa riferimento a due aspetti, due principi che mi sembrano particolarmente importanti e collegati: il primo è definito dal termine aparigraha mentre il secondo è indicato con la parola samtosa.
Poiché non alimentiamo avidità, bramosia né per gli oggetti esterni né per la conoscenza, ma dimoriamo in una dimensione di sobrietà, di semplicità (aparigraha), allora possiamo riscoprire un senso di serenità, di appagamento interiore (samtosa); viceversa se prendiamo dimora in un senso di contentezza, di  pienezza interiore, allora sarà naturale lasciare andare la cupidigia, il desiderio mai sazio per le cose esteriori e per la conoscenza.
Nella nostra cultura centrata sullo spreco e sulla avidità, la dimensione indicata da questi due termini potrebbe essere compresa come “benchè manchi qualcosa io comunque mi accontento”, con un senso negativo di mancanza e privazione.
Al contrario aparigraha e samtosa indicano invece una dimensione di profondo appagamento e gioia interiore dove non c’è proprio nulla che manca.

Qualcuno si può chiedere da dove nasce questo cuore contento, questo appagamento interiore. Nella tradizione zen viene tramandato questo detto:

L’uccello canta
non perché ha una ragione
ma perché ha una canzone.
poesia zen

Siamo condizionati a pensare che per essere contenti dobbiamo ottenere qualcosa, soddisfare i nostri desideri, siano questi di ordine mondano (soldi, potere, piacere ecc.) oppure di ordine più sottile, mentale o spirituale (conoscenza, beatitudine ecc): possiamo chiederci se è veramente così. Esiste una gioia priva di oggetto?

La farina è andata a male,
e il grano nel recipiente pure.
Il cucchiaio è rotto,
e la ciotola di legno è consumata.
Non c'e' sale,
da mangiare solo un paio di cipolle.
Un cuore contento è la mia porzione,
ed è più dolce di tutti i dolci del mondo.
Eremita anonimo cinese

Anche senza essere un eremita si può comprendere (e magari avere sperimentato nella propria vita) che c’è un livello di gioia, di benessere, di appagamento interiore che non è condizionato da questo o da quello, che è totalmente slegato da condizioni esterne: è una nostra caratteristica naturale che può essere riscoperta e coltivata.

Il motivo per cui non riconosciamo e non sperimentiamo molto spesso questo stato di appagamento interiore, questo cuore contento, è perché la mente è sempre agitata, è sempre impegnata in mille cose esteriori che ci separano da noi stessi e dalla vita.

In primavera centinaia di fiori
In autunno una luna del raccolto
D'estate una brezza fresca
D'inverno ti accompagna la neve
Se non hai la mente ingombra di cose inutili
ogni stagione è per te una buona stagione.
Poesia Zen

Purtroppo la nostra mente è sempre “ingombra di cose inutili”, è come un mercato superaffollato dove tutti corrono e spingono e non c’è mai un momento di quiete.
Può essere utile riflettere su cosa è la mente; certamente possiamo dire che non ha forma, non ha colore, che non possiamo toccare la mente: significa che non stiamo parlando di un oggetto concreto, grossolano, che non stiamo parlando di una “cosa”.
Molto semplicemente possiamo definire la mente come ciò che conosce, il fattore che conosce, come il processo del percepire conoscere.
Alcuni cercano di localizzarla fisicamente, ma chiedersi dove è la mente è una domanda sbagliata: proprio perché la mente non è una cosa grossolana non possiamo dire che sia nel cervello piuttosto che nell’alluce destro; possiamo invece vedere la mente come uno spazio, un campo dove questo processo di conoscenza è attivo e funziona.
Uno spazio che è importante imparare a percepire come accogliente, ricettivo , fecondo, vivo. Molto spesso nella nostra cultura la parola spazio può evocare qualcosa che manca, un luogo gelido, pauroso, desolato, morto, ma non è questo il senso che ha la parola spazio in relazione alla mente.
Una delle metafore tradizionali che indicano lo spazio mentale è quella del cielo, con la sua chiarezza e la sua capacità di accogliere senza attaccarsi nè respingere.

Le rondini volano nel cielo
L’acqua riflette la loro immagine
Le rondini non lasciano alcuna traccia nel cielo
Né l’acqua trattiene la loro immagine
Poesia Zen Vietnamita

Non attaccamento, non identificazione e ricettività, capacità di accogliere sono due caratteristiche molto importanti del “cielo della mente” che piano piano, durante il nostro cammino spirituale, possiamo iniziare a riconoscere e a coltivare.

Molto spesso quando si inizia a seguire una via di conoscenza si crede che, prima o poi, avverranno dei cambiamenti strabilianti a livello della personalità: questo significa che ci si identifica con la nostra personalità e si crede che i cambiamenti avverranno a quel livello; a questo proposito mi sembra molto interessante la seguente descrizione che dà un praticante esperto riguardo al tipo di aspettative che aveva e al tipo di trasformazioni che invece sono avvenute:

La trasformazione spirituale avvenuta negli anni passati è, per molti versi, diversa da quella che ho immaginato. Sono sempre la stessa persona stravagante, pressoché con lo stesso stile e gli stessi modi di essere. Quindi, all’esterno, non sono quella persona incredibilmente trasformata, illuminata che all’inizio ho sperato di diventare. Ma c’è una grande trasformazione all’interno. Anni di lavoro con le mie emozioni, con i modelli famigliari e il temperamento hanno ammorbidito il modo con il quale mi relaziono con tutti questi aspetti. Durante la lotta per conoscere e accettare profondamente la mia vita, è avvenuta una trasformazione, e il mio amore è diventato più grande. Se [prima] la mia vita era come un garage stipato dove continuavo a buttare mobili e giudicare me stesso, ora è come se avessi traslocato in un hangar per aeroplani con tutte le finestre aperte. Ho ancora le mie vecchie cose, ma ora sono libero di andare in giro, persino di volare.
Jack Kornfield – After the ecstasy, the laundry (traduzione personale dall’inglese)

Come ha detto Sri Nisargadatta Maharaj, “non è la personalità che si libera, ma siamo noi che ci liberiamo dalla personalità”.

È interessante notare come in molte tradizioni la saggezza viene raffigurata attraverso figure femminili che simbolizzano proprio la ricettività unita alla fecondità: quindi la capacità di aprirsi, di accogliere è unita alla capacità di dare alla luce, di generare.
Come la donna riceve il seme e quindi dà alla luce il bambino, come la terra accoglie il seme e quindi dà alla luce la pianta, la mente ha la capacità di accogliere i vari fenomeni e nel fare questo “dà alla luce” la conoscenza, cioè accogliendo il fenomeno senza aggrapparsi e senza respingere, la mente conosce il fenomeno stesso.

Questa capacità di accoglienza, questa ricettività viene spesso indicata attraverso il termine ascolto: ecco come in ambito cristiano Madre Teresa, soprattutto nota per la sua attività compassionevole, ma evidentemente con una capacità contemplativa fuori dal comune, descrive ad uno sbalordito intervistatore il suo modo di pregare:

Un intervistatore domandò a Madre Teresa che cosa dicesse a Dio nelle sue preghiere.
“Non dico niente”, rispose lei. “Mi limito ad ascoltare”.
Allora l’intervistatore le domandò che cosa le dicesse Dio.
“Non dice niente”, rispose Madre Teresa. “Si limita ad ascoltare”.
E prima che lo sbalordito intervistatore insistesse sull’argomento, aggiunse: “E se non lo capisce, non posso spiegarglielo”.
Joseph Goldstein - Un solo Dharma

Questo senso di appagamento interiore, questo cuore contento non è separato dalla spaziosità della mente, ed entrambi sono collegati a ciò che si può definire un tocco leggero; ecco come lo descrive Chogyam Trungpa:

Il problema è che quando cominciamo a comprendere la potenziale bontà dentro di noi, spesso prendiamo questa scoperta troppo seriamente. Possiamo uccidere o morire per la bontà; la vogliamo in modo errato. Quello che manca è il senso dell’umorismo. Umorismo qui non significa raccontare barzellette, fare il buffone o criticare gli altri e ridere di loro. Un genuino senso dell’umorismo consiste nell’avere un tocco lieve: non sbattere la realtà sul pavimento ma apprezzarla con tocco lieve. La base della visione di Shambhala consiste nel riscoprire questo perfetto e reale senso dell’umorismo, questo lieve tocco di apprezzamento.
Chogyam Trungpa – Shambhala La via sacra del guerriero.

C’è una difficoltà nel comprendere questo atteggiamento che è mostrata anche dal fatto che, perlomeno nelle lingue occidentali, non esiste una parola unica per indicarlo.
Possiamo iniziare provando a descrivere che cosa non è un tocco leggero.
Certamente è molto diverso dall’arroganza, seriosità e ostentata sicurezza che molto spesso si nota nelle persone di potere e/o nelle persone che hanno una grande conoscenza intellettuale; non è nemmeno il fondamentalismo o l’atteggiamento da “beghine da chiesa” che si può riscontrare, purtroppo abbastanza spesso, in chi segue un cammino religioso, ed è molto diverso anche dalla grossolanità e grettezza che spesso si riscontra nella vita delle persone che sono totalmente guidate dalla bramosia per le cose materiali.
Benchè sia una cosa difficile da descrivere a parole, nello stesso tempo si può riscontrare facilmente nella vita di tutti i giorni, per esempio nella naturale capacità di auto ironia di certe persone, oppure nella delicatezza e gentilezza che traspare in certi maestri spirituali, o anche nella freschezza e giocosità dei bambini, qualità che spesso perdiamo nell’età cosiddetta adulta.
Nella seguente citazione Stephen Batchelor, con molta efficacia, ci fornisce la metafora dell’ape per farci comprendere come proprio attraverso questo tocco leggero il praticante arriva all’essenza delle cose:

E’ la metafora in cui il praticante e’ raffigurato come un’ape che estrae il nettare dai fiori, per mostrare che il monaco o in generale il praticante è qualcuno che atterra molto delicatamente nelle situazioni, che avvicina il fiore delle situazioni con grande delicatezza, ma nello stesso tempo è capace di penetrarle fino al cuore, per comprendere e per attingere da ciò che è essenziale. Quindi, è una immagine di distacco, ma di un genere di distacco che permette un profondo coinvolgimento. E una volta che l’essenziale è stato toccato o attinto dalla situazione, allora l’ape si allontana, senza lasciare traccia, né orma della sua visita. E’ la chiara raffigurazione di una persona che vive sul sentiero o sul cammino della vacuità.
Stephen Batchelor - La vacuità nell’insegnamento di Nagarjuna

Quando non interferiamo con l’esperienza che stiamo vivendo, quando non manipoliamo la situazione, allora abbiamo la possibilità di conoscerla in rpofondità.
Poiché questo atteggiamento non è molto usuale, allora viene indicato in modo paradossale come nel seguente aforisma di tradizione chan:

Entrare nella foresta senza muovere un filo d’erba;
Entrare nell’acqua senza incresparne la superficie.
Zenrin Kushu

Penetriamo e quindi conosciamo la situazione senza però modificarla in alcun modo: il contrario di ciò che riscontriamo nella scienza moderna, che vede nel controllo e nella manipolazione l’unica possibilità di relazione con la Natura.
Sia nella nostra vita che nella pratica spirituale occorre riscoprire un modo leggero e giocoso di fare le cose, come il bambino che tira la palla contro il muro e si diverte senza fare niente di speciale; liberi dalla frenesia e dall’ansia del risultato possiamo scoprire che abbiamo tutto il tempo, e che è del tutto controproducente, come si dice nel Taoismo, “spingere la corrente”.
Anche nelle relazioni con gli altri questa qualità non invasiva, questa delicatezza assume una grande importanza: ci permette di stabilire relazioni profonde che sono al contempo rispettose dello spazio e della libertà altrui.