Ascoltare Riflettere Meditare


Nel Buddhismo si descrive il processo della ricerca interiore attraverso un modello che comprende tre momenti: ascoltare, riflettere e meditare.
Con ascoltare si fa riferimento all’ascolto vero e proprio degli insegnamenti trasmessi da insegnanti qualificati, e più in generale, al leggere, allo studiare i testi della tradizione sapienziale che si segue.
Riflettere consiste nel mettere in relazione ciò che si è ascoltato o letto con la propria esperienza, con la propria vita (che cosa significa per me, in questo momento, ciò che ho ascoltato o letto?).
Mentre col termine meditare ci si riferisce non solo alla pratica formale comprendente l’applicazione dei vari metodi di meditazione e/o psicofisici, ma soprattutto all’integrare, all’incarnare gli insegnamenti nella propria vita.

La metafora del vaso ci aiuta a descrivere i possibili atteggiamenti che si possono avere circa l’ascoltare, lo  studiare gli insegnamenti, e in generale verso la pratica stessa.
Il vaso capovolto rappresenta la situazione in cui non c’è interesse e nemmeno curiosità, e quindi in pratica non si ascolta, mentre il vaso pieno indica la condizione in cui crediamo (consciamente o inconsciamente) di sapere già tutto, diamo tutto per scontato: in questo caso manca “spazio” per un ascolto vero.
Quando il vaso è bucato il nostro interesse è solo superficiale, manchiamo di serietà, di perseveranza, di energia, e quindi la comprensione non arriva, mentre il vaso sporco indica che la nostra motivazione non è pura, è una motivazione puramente egoistica e mondana; ad esempio seguiamo la pratica perché ci è utile socialmente, perché ricerchiamo un’accettazione sociale, per denaro, potere o prestigio: in questo caso possiamo anche ottenere una certa conoscenza degli insegnamenti, ma sarà una conoscenza solo superficiale, solo accademica, che non funziona veramente.
Un vaso rivolto verso l’alto, vuoto, integro, pulito indica l’atteggiamento corretto: cioè c’è interesse o perlomeno curiosità verso l’insegnamento e siamo aperti e ricettivi a ciò che ci viene detto; inoltre abbiamo sufficiente energia e perseveranza per mettere in pratica gli insegnamenti e la nostra motivazione ci spinge verso una conoscenza reale, una comprensione che è salutare e benefica sia per noi stessi e che per gli altri.

Il riflettere, l’investigare è parte integrante e costitutiva della nostra pratica: questo comprende certamente anche una riflessione che potremmo chiamare di tipo filosofico o razionale, che però non è da confondere col pensare compulsivo.
La saggia riflessione è accompagnata sempre dalla calma, dalla tranquillità mentale; la riflessione di carattere analitico unita alla calma tende a sfociare in una comprensione diretta e intuitiva, senza alimentare la proliferazione mentale.

In un discorso il Buddha esorta il praticante a testare l’insegnamento come l’orefice testa l’oro: quindi la verifica personale dell’insegnamento è molto importante.

Colui che assaggia conosce.
Detto Sufi

Inoltre, nel praticante, la riflessione è diretta a comprendere qual è il senso, che valenza hanno gli insegnamenti nella propria vita: un senso, una valenza che sono esistenziali e non astratti. La domanda “che cosa significa per me, in questo momento, ciò che ho ascoltato o letto?” “che senso ha la pratica nella mia vita quotidiana?” non è data una volta per tutte, ma viene continuamente riproposta, non per trovare una risposta definitiva, ma per lasciare andare i condizionamenti e ritrovare un senso di apertura.
Non si tratta di cadere in una sorta di dubbio scettico, che ci blocca e ci impedisce di andare avanti, ma anzi è un dubbio fecondo, che continuamente ci aiuta a non dare nulla per scontato e ci permette di ritrovare semplicità e freschezza, ci permette di risvegliarci al presente.

Dubitare significa mantenere viva la perplessità nel centro stesso dell’essere e interrogare, mettere in discussione qualunque cosa sorga dentro di noi. Il detto cinese:
“Grande dubbio, grande illuminazione;
piccolo dubbio, piccola illuminazione;
nessun dubbio, nessuna illuminazione;
ribadisce come il dubbio, l’interrogare, sia la chiave indispensabile al risveglio.

Costruirci un credo in una dottrina o in un maestro, o anche fondarlo sulla nostra personale esperienza, significa evitare la domanda e riparare in un guscio protettivo fatto di opinioni e di concetti, Continuare a porre la domanda significa invece rimanere aperti ed esposti, disponibili alla imprevedibilità del momento.
Stephen Batchelor – La via del dubbio.

Nella tradizione chan zen, attraverso l’uso della domanda “Che cos’è questo?” come tecnica di meditazione e pratica di risveglio, la riflessione sfocia naturalmente nella meditazione. È possibile anche essere creativi e usare altre domande quali ad esempio “È veramente così?”, oppure, quando si è bloccati o sopraffatti da un problema, ci si può chiedere “Qual è il problema?”.
Nella tradizione Tailandese della foresta il maestro Achaan Chah descrive questo atteggiamento di fronte alle nostre esperienze nel seguente modo:

Io insegno a meditare così. Quando è il momento di sedersi, sedetevi, non c’è niente di male. Anche questa è pratica. Ma la meditazione non si limita alla seduta. Dovete consentire alla mente di sperimentare fino in fondo, di lasciare emergere tutto liberamente contemplandone la natura. Da che punto di vista contempliamo le cose? Dal punto di vista dell’impermanenza, dell’imperfezione, del fatto che non appartengono a nessuno. È tutto incerto. …
Chi vede l’incertezza delle cose, vede la realtà immutabile che le sottende.
Achaan Chah – Il Dhamma vivo

Ascoltare, riflettere e meditare non sono separati, ma sono dimensioni di un unico processo e si autoalimentano reciprocamente: attraverso questo processo riscopriamo un atteggiamento contemplativo che è simultanemente via e risultato, e che ci accompagna nella nostra vita quotidiana.