Parlandogli per metafore, il guru spinge il pellegrino a volgersi all’interno di se stesso. Offre al cercatore soltanto ciò che possiede già, e gli toglie ciò che non ha mai avuto.
Sheldon B. Kopp – Se incontri il Buddha per la strada uccidilo.
Sheldon B. Kopp – Se incontri il Buddha per la strada uccidilo.
Può essere interessante a questo punto dare uno sguardo alla ricca serie di metafore e simboli che le varie tradizioni hanno tramandato per indicare la pratica e il frutto della pratica, per indicare le qualità del nostro stato naturale.
Lo specchio è un simbolo usato un po’ in tutte le tradizioni spirituali perché racchiude in sé una serie di caratteristiche molto interessanti che rappresentano le qualità di una mente risvegliata.
Innazitutto è presente l’aspetto della chiarezza, cioè lo specchio ideale è limpido e pulito, non è opaco e non distorce l’oggetto che riflette; esso riflette chiaramente senza bisogno di analizzare o “fabbricare” alcunché. Quando la mente e i 5 sensi funzionano in modo risvegliato allora c’è la capacità di vedere, di percepire conoscere in modo diretto e chiaro.
Poi c’è la caratteristica della ricettività, cioè lo specchio non va alla ricerca dell’oggetto da riflettere, non si proietta sull’oggetto, ma lo accoglie, lo riceve senza trattenere né respingere; ogni oggetto messo davanti allo specchio viene riflesso senza che ci sia una scelta o un giudizio: da parte dello specchio non fa nessuna differenza riflettere una rosa o un maiale. Lo specchio si adatta, “riflette” le circostanze senza accumulare, immagazzinare niente.
Infine possiamo considerare la continua presenza: lo specchio non è mai distratto, ma ha la capacità di riflettere istantaneamente l’oggetto che gli viene posto davanti, capacità di riflettere che non viene mai meno perché fa parte della sua natura; questa caratteristica fa quindi riferimento alla capacità di essere nell’istante presente, essere vigili, svegli, una presenza istantanea a tutto ciò che sorge nel campo dell’attenzione; è la capacità di accogliere l’oggetto fenomeno nell’esatto momento in cui sorge, né prima, né dopo.
L’albero è una immagine ricca e complessa presente un po’ in tutte le culture, basti pensare all’albero della cuccagna o all’albero della conoscenza in ambito occidentale, o all’albero del risveglio (bodhi) nella tradizione Buddhista.
In generale esso rappresenta la relazione reciproca, l’interconnessione, l’inseparabilità tra le varie parti di un tutto: le radici, il tronco, i rami e le foglie formano un sistema unico in relazione reciproca, e allo stesso tempo un sistema in relazione reciproca con l’ambiente: l’albero è posto tra il cielo e la terra in modo simile all’essere umano.
Altri due simboli molto usati, anche in senso letterale, sono la candela accesa e l’incenso: la luce della candela illumina l’ambiente circostante e allo stesso tempo se stessa, così come la mente può essere consapevole delle esperienze (consapevolezza dei fenomeni) e allo stesso tempo consapevole di se stessa (consapevolezza della consapevolezza).
Inoltre il fuoco, che è sempre uguale a se stesso e che nello stesso tempo cambia in continuazione, è una immagine dell’essenza dinamica della realtà, un simbolo dell’energia vitale del mondo.
Il fuoco è un processo che continuamente trasforma, e allo stesso tempo viene esso stesso trasformato da ciò che lo nutre, simbolizzando così la natura metabolica della vita stessa e quindi dell’uomo.
La pratica spirituale può essere vista come un fuoco che ci trasforma ed è allo stesso tempo da noi trasformata, in quando vivificata, applicata: è un continuo processo metabolico, un processo di trasformazione che non ha mai fine, nel quale incarnare, attualizzare gli insegnamenti nella propria vita quotidiana.
Oltre a trasformare e ad essere trasformato dal combustibile, il fuoco trasforma ed è trasformato dall’ambiente: il fuoco scalda e dà luce all’ambiente e nello stesso tempo viene alimentato dall’ossigeno e dal vento: l’immagine del fuoco rappresenta quindi un processo dove la continua trasformazione avviene in una reciproca interrelazione di tutti gli aspetti legati al processo stesso.
Anche l’incenso simbolizza lo stesso tipo di trasformazione e di interrelazione, inoltre esso rilascia la sua fragranza nell’ambiente; come la fragranza emessa dall’incenso è qualcosa di sottile, qualcosa di delicato, ma impregna l’ambiente e in un certo senso lo trasforma e lo arricchisce, allo stesso modo la consapevolezza è qualcosa di molto sottile, impalpabile, come un profumo leggerissimo, che però da vitalità, equilibrio e gioia all’esperienza che di momento in momento viviamo.
Il cielo e l’acqua sono due altre potenti metafore.
La capacità dell’acqua torbida che, se non viene agitata, ritrova la sua naturale limpidezza, simbolizza la mente che, se lasciata tranquilla, ritrova da sé la propria purezza primordiale; lo specchio d’acqua immobile, non agitato dal vento, che riflette chiaramente senza distorcere, né trattenere o respingere, è un’altra immagine di un modo di praticare che, attraverso la calma e l’immobilità, ci permette di ritrovare quella capacità di comprensione intuitiva e ricettiva, che non abbiamo quando la mente è agitata.
Il cielo come uno spazio aperto, accogliente, ricettivo, dove gli uccelli o le nuvole che lo solcano non lasciano alcuna traccia, ci rimanda alle stesse qualità di apertura, accoglienza e ricettività della mente risvegliata; mentre l’acqua che fluisce in continuazione adattandosi in modo naturale ad ogni contenitore simbolizza l’adattabilità e il continuo mutamento.
Nella frase posta all’inizio di questa parte del libro viene spiegato il significato fondamentale dell’insegnamento del Buddha proprio facendo riferimento alla metafora del cielo e delle nubi.
Dicendo che non si ottiene nè un guadagno e nè una conoscenza, sostanzialmente viene negato che attravero la pratica si ottenga alcunchè (di artificiale, di costruito).
Ciò significa che la comprensione fondamentale è al di là del dualismo, cioè il risveglio è appunto risvegliarci ad una dimensione non condizionata da tutti i dualismi del tipo guadagno perdita, conoscenza ignoranza, piacere dolore, soggetto oggetto, ma anche causa effetto: praticare per ottenere il risveglio è il più sottile ma anche il più potente degli impedimenti (e d’altronde se non si aspira al risveglio non lo si otterrà, come paradossalmete affermano un po’ tutte le tradizioni contemplative).
Nel risveglio non guadagniamo nulla e non perdiamo nulla, né otteniamo alcuna conoscenza concettuale, statica, assoluta. Il senso della pratica contemplativa si trova nella pratica contemplativa stessa, il frutto della pratica contemplativa è proprio la pratica contemplativa.
Per il nostro abituale modo di vedere a questo punto c’è come impasse, un vicolo cieco: allora cosa pratichiamo a fare? Ma è proprio il nostro abituale modo di vedere percepire che rappresenta il sogno illusione da cui dobbiamo risvegliarci !
Ogni nostro fare o non fare motivato da attaccamento ad un qualche guadagno immediato o futuro e/o all’acquisire una qualche forma di conoscenza statica, assoluta, non farà che riconfermarci nel sogno illusione da cui vogliamo risvegliarci.
Mentre la prima parte della frase usa la pedagogia negativa ed è volutamente paradossale, la seconda parte della frase risolve l’impasse dicendo che col risveglio otteniamo qualcosa che c’è sempre stato e che è del tutto naturale: come il vasto cielo non ostacola il fluttuare delle nuvole, così la spaziosità ricettiva della mente risvegliata non ostacola il fluire delle esperienze. Di nuovo non guadagniamo e non perdiamo nulla, ma riconosciamo ciò che è, ci adattiamo a ciò è, e in questo ci riconciliamo con noi stessi e col mondo.
Quindi l’insegnamento del Buddha è un atteggiamento, un modo di essere che è libero da tutti i costrutti artificiali della mente: non pratichiamo per soddisfare i nostri desideri, per inseguire una qualche ricompensa, una gratificazione particolare che ci siamo fabbricati nella nostra piccola mente, sia pure la più sublime delle conoscenze esoteriche, ammesso che ci sia qualcosa del genere !
Siamo totalmente svegli, proprio qui, prorpio ora, senza costruire alcunchè di artificiale, ma anche senza rifiutare o separarci da ciò che viviamo: questo significa che non neghiamo e non entriamo in conflitto con il nostro corpo e, in generale, con le esperieze dei cinque sensi, e, in modo analogo, non neghiamo e non entriamo in conflitto con i nostri pensieri e le nostre emozioni.
La frase “Il vasto cielo non ostacola le bianche nuvole fluttuanti” fa risuonare un senso di agio, di naturalezza che ci riconcilia con tutti gli aspetti della vita: non un luogo speciale, separato, né un stato esoterico, assoluto, ma una semplicità che è sempre con noi e che possiamo sperimentare nell’essere svegli, qui e ora.
Lo specchio è un simbolo usato un po’ in tutte le tradizioni spirituali perché racchiude in sé una serie di caratteristiche molto interessanti che rappresentano le qualità di una mente risvegliata.
Innazitutto è presente l’aspetto della chiarezza, cioè lo specchio ideale è limpido e pulito, non è opaco e non distorce l’oggetto che riflette; esso riflette chiaramente senza bisogno di analizzare o “fabbricare” alcunché. Quando la mente e i 5 sensi funzionano in modo risvegliato allora c’è la capacità di vedere, di percepire conoscere in modo diretto e chiaro.
Poi c’è la caratteristica della ricettività, cioè lo specchio non va alla ricerca dell’oggetto da riflettere, non si proietta sull’oggetto, ma lo accoglie, lo riceve senza trattenere né respingere; ogni oggetto messo davanti allo specchio viene riflesso senza che ci sia una scelta o un giudizio: da parte dello specchio non fa nessuna differenza riflettere una rosa o un maiale. Lo specchio si adatta, “riflette” le circostanze senza accumulare, immagazzinare niente.
Infine possiamo considerare la continua presenza: lo specchio non è mai distratto, ma ha la capacità di riflettere istantaneamente l’oggetto che gli viene posto davanti, capacità di riflettere che non viene mai meno perché fa parte della sua natura; questa caratteristica fa quindi riferimento alla capacità di essere nell’istante presente, essere vigili, svegli, una presenza istantanea a tutto ciò che sorge nel campo dell’attenzione; è la capacità di accogliere l’oggetto fenomeno nell’esatto momento in cui sorge, né prima, né dopo.
L’albero è una immagine ricca e complessa presente un po’ in tutte le culture, basti pensare all’albero della cuccagna o all’albero della conoscenza in ambito occidentale, o all’albero del risveglio (bodhi) nella tradizione Buddhista.
In generale esso rappresenta la relazione reciproca, l’interconnessione, l’inseparabilità tra le varie parti di un tutto: le radici, il tronco, i rami e le foglie formano un sistema unico in relazione reciproca, e allo stesso tempo un sistema in relazione reciproca con l’ambiente: l’albero è posto tra il cielo e la terra in modo simile all’essere umano.
Altri due simboli molto usati, anche in senso letterale, sono la candela accesa e l’incenso: la luce della candela illumina l’ambiente circostante e allo stesso tempo se stessa, così come la mente può essere consapevole delle esperienze (consapevolezza dei fenomeni) e allo stesso tempo consapevole di se stessa (consapevolezza della consapevolezza).
Inoltre il fuoco, che è sempre uguale a se stesso e che nello stesso tempo cambia in continuazione, è una immagine dell’essenza dinamica della realtà, un simbolo dell’energia vitale del mondo.
Il fuoco è un processo che continuamente trasforma, e allo stesso tempo viene esso stesso trasformato da ciò che lo nutre, simbolizzando così la natura metabolica della vita stessa e quindi dell’uomo.
La pratica spirituale può essere vista come un fuoco che ci trasforma ed è allo stesso tempo da noi trasformata, in quando vivificata, applicata: è un continuo processo metabolico, un processo di trasformazione che non ha mai fine, nel quale incarnare, attualizzare gli insegnamenti nella propria vita quotidiana.
Oltre a trasformare e ad essere trasformato dal combustibile, il fuoco trasforma ed è trasformato dall’ambiente: il fuoco scalda e dà luce all’ambiente e nello stesso tempo viene alimentato dall’ossigeno e dal vento: l’immagine del fuoco rappresenta quindi un processo dove la continua trasformazione avviene in una reciproca interrelazione di tutti gli aspetti legati al processo stesso.
Anche l’incenso simbolizza lo stesso tipo di trasformazione e di interrelazione, inoltre esso rilascia la sua fragranza nell’ambiente; come la fragranza emessa dall’incenso è qualcosa di sottile, qualcosa di delicato, ma impregna l’ambiente e in un certo senso lo trasforma e lo arricchisce, allo stesso modo la consapevolezza è qualcosa di molto sottile, impalpabile, come un profumo leggerissimo, che però da vitalità, equilibrio e gioia all’esperienza che di momento in momento viviamo.
Il cielo e l’acqua sono due altre potenti metafore.
La capacità dell’acqua torbida che, se non viene agitata, ritrova la sua naturale limpidezza, simbolizza la mente che, se lasciata tranquilla, ritrova da sé la propria purezza primordiale; lo specchio d’acqua immobile, non agitato dal vento, che riflette chiaramente senza distorcere, né trattenere o respingere, è un’altra immagine di un modo di praticare che, attraverso la calma e l’immobilità, ci permette di ritrovare quella capacità di comprensione intuitiva e ricettiva, che non abbiamo quando la mente è agitata.
Il cielo come uno spazio aperto, accogliente, ricettivo, dove gli uccelli o le nuvole che lo solcano non lasciano alcuna traccia, ci rimanda alle stesse qualità di apertura, accoglienza e ricettività della mente risvegliata; mentre l’acqua che fluisce in continuazione adattandosi in modo naturale ad ogni contenitore simbolizza l’adattabilità e il continuo mutamento.
Nella frase posta all’inizio di questa parte del libro viene spiegato il significato fondamentale dell’insegnamento del Buddha proprio facendo riferimento alla metafora del cielo e delle nubi.
Daowu chiese: “Qual è il significato fondamentale dell’insegnamento del Buddha?”
Shitou rispose: “Nessun guadagno, nessuna conoscenza”.
Shitou rispose: “Nessun guadagno, nessuna conoscenza”.
Dicendo che non si ottiene nè un guadagno e nè una conoscenza, sostanzialmente viene negato che attravero la pratica si ottenga alcunchè (di artificiale, di costruito).
Ciò significa che la comprensione fondamentale è al di là del dualismo, cioè il risveglio è appunto risvegliarci ad una dimensione non condizionata da tutti i dualismi del tipo guadagno perdita, conoscenza ignoranza, piacere dolore, soggetto oggetto, ma anche causa effetto: praticare per ottenere il risveglio è il più sottile ma anche il più potente degli impedimenti (e d’altronde se non si aspira al risveglio non lo si otterrà, come paradossalmete affermano un po’ tutte le tradizioni contemplative).
Nel risveglio non guadagniamo nulla e non perdiamo nulla, né otteniamo alcuna conoscenza concettuale, statica, assoluta. Il senso della pratica contemplativa si trova nella pratica contemplativa stessa, il frutto della pratica contemplativa è proprio la pratica contemplativa.
Per il nostro abituale modo di vedere a questo punto c’è come impasse, un vicolo cieco: allora cosa pratichiamo a fare? Ma è proprio il nostro abituale modo di vedere percepire che rappresenta il sogno illusione da cui dobbiamo risvegliarci !
Ogni nostro fare o non fare motivato da attaccamento ad un qualche guadagno immediato o futuro e/o all’acquisire una qualche forma di conoscenza statica, assoluta, non farà che riconfermarci nel sogno illusione da cui vogliamo risvegliarci.
Daowu chiese ancora: “ Puoi dire qualcosa di più?”
Shitou rispose: “Il vasto cielo non ostacola le bianche nuvole fluttuanti”.
Shitou rispose: “Il vasto cielo non ostacola le bianche nuvole fluttuanti”.
Mentre la prima parte della frase usa la pedagogia negativa ed è volutamente paradossale, la seconda parte della frase risolve l’impasse dicendo che col risveglio otteniamo qualcosa che c’è sempre stato e che è del tutto naturale: come il vasto cielo non ostacola il fluttuare delle nuvole, così la spaziosità ricettiva della mente risvegliata non ostacola il fluire delle esperienze. Di nuovo non guadagniamo e non perdiamo nulla, ma riconosciamo ciò che è, ci adattiamo a ciò è, e in questo ci riconciliamo con noi stessi e col mondo.
Quindi l’insegnamento del Buddha è un atteggiamento, un modo di essere che è libero da tutti i costrutti artificiali della mente: non pratichiamo per soddisfare i nostri desideri, per inseguire una qualche ricompensa, una gratificazione particolare che ci siamo fabbricati nella nostra piccola mente, sia pure la più sublime delle conoscenze esoteriche, ammesso che ci sia qualcosa del genere !
Siamo totalmente svegli, proprio qui, prorpio ora, senza costruire alcunchè di artificiale, ma anche senza rifiutare o separarci da ciò che viviamo: questo significa che non neghiamo e non entriamo in conflitto con il nostro corpo e, in generale, con le esperieze dei cinque sensi, e, in modo analogo, non neghiamo e non entriamo in conflitto con i nostri pensieri e le nostre emozioni.
La frase “Il vasto cielo non ostacola le bianche nuvole fluttuanti” fa risuonare un senso di agio, di naturalezza che ci riconcilia con tutti gli aspetti della vita: non un luogo speciale, separato, né un stato esoterico, assoluto, ma una semplicità che è sempre con noi e che possiamo sperimentare nell’essere svegli, qui e ora.